Il commento
«L'Italia è una Repubblica radicata sulla mazzetta»
Dopo quella che ha segnato la Prima Repubblica, la tangente postmoderna è un prelievo di ricchezza da parte di personaggi anfibi tra politica e camarille per conquistarsi potere
A volte sembra proprio che l’Italia sia una Repubblica (indecorosamente) fondata sulla mazzetta. Sistematica, e ora rizomatica. Con caratteristiche aggiornate e, sotto alcuni aspetti, dissimili dal passato, come evidenziano le ultime cronache – dal “clan” Verdini a Gabriele Visco, in puro familismo amorale (anche se, naturalmente, non tutte le colpe dei figli possono ricadere sui padri). La «questione morale» rappresenta un depositato di lungo periodo, e inestirpabile, di certe classi dirigenti del Paese, una sorta di «filo nero tangentaro» che attraversa in maniera trasversale epoche, organizzazioni e orientamenti politici.
D’altronde, il nostro è il Paese in cui sono state proprio le inchieste su un giro milanese di bustarelle, tramutatesi in un’inarrestabile valanga giudiziaria, a porre fine al paradigma della «Repubblica dei partiti», determinando un quasi cambio di regime. “Mani pulite” come punto di svolta nella storia nazionale, dunque, responsabile del “salto” nella numerazione delle Repubbliche – dalla Prima alla Seconda del berlusconismo – e punto di partenza anche del “salto di qualità” (chiamiamolo così…) delle casistiche e tipologie di corruttela.
Se la calunnia «è un venticello», come si canta ne “Il barbiere di Siviglia”, la tangente è un fiume carsico che affiora solo qualche volta, ma innerva nel profondo e in modo capillare alcune forme «amichettiste» di potere. Un contesto ambientale diffuso che oggi, in epoca postpolitica, si è appunto convertito in rizoma, al tempo stesso radice e rete, parole chiave, non per caso, dell’attuale postmodernità (o, per meglio dire, post-postmodernità).
Alla finalità dell’arricchimento illecito si sono così aggiunti il traffico di influenze e lo scambio di utilità (meno tracciabile da parte della giustizia, almeno in linea di principio), assieme al linguaggio sempre più corrivo e triviale usato dai protagonisti di queste pratiche corruttive. I nuovi «facilitatori» rappresentano gli eredi appunto postmoderni degli «spicciafaccende». E la sanità e l’Anas, su cui vogliono mettere le mani, non costituiscono esclusivamente le «galline dalle uova d’oro» da spremere finanziariamente, ma altrettanti trampolini di lancio per estendere il circuito relazionale, a suon di promesse di avanzamenti di carriere per i loro interlocutori interni a quei mondi e raccomandazioni di vario genere.
Non ci troviamo più al cospetto della tangente «moderna» collettiva, quella che alimentava le clientele e le grosse macchine organizzative dei partiti della Prima Repubblica, finita infatti travolta dalle indagini e dalle sentenze al mutare delle circostanze (il quadro socioeconomico interno e quello geopolitico esterno), ma anche a causa dell’irruzione dell’ingordigia individuale di svariati esponenti della classe politica. Attualmente siamo invece di fronte alla tangente «postmoderna», quella metamorfica dei nodi dei network: un prelievo illegale di ricchezza da parte di singoli personaggi anfibi tra politica, istituzioni, camarille e consorterie per sé stessi e, al medesimo tempo, per conquistare cariche pubbliche che diano possibilità di ulteriore espansione dell’attività di corruzione. Con lo scopo finale del mantenimento del vasto «pianeta di mezzo» di un sistema malato di potere popolato di gruppi opachi e invisibili.