Cose Preziose
Che bello se le donne fossero libere da ogni stereotipo
Sarebbe bello che non fossero obbligate a essere sempre dalla parte delle giuste e che potessero essere persone fino in fondo, con i chiaroscuri e le ambiguità di tutti coloro che camminano sulla Terra
Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera. Posso continuare da dove ho smesso». È Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, e in questo 8 marzo, secondo del governo Meloni, proviamo a continuare la storia.
La parte facile è che anche stavolta ci saranno le mimose sulle bacheche dei social e nelle chat di WhatsApp e ci saranno gli auguri e i cioccolatini. Anche stavolta, poi, ci sarà uno sciopero delle donne, e ci saranno i numeri che riguardano le impari opportunità nel lavoro, nella politica, nella retribuzione, e ci saranno quelli che hanno cominciato già da giorni a dire che abbiamo cose più importanti a cui pensare (le cose variano anno dopo anno: ma il fatto che siano comunque più importanti è una certezza, come i pisolini di La Russa quando qualcuno canta Bella Ciao). Infine, anche questa volta ci sarà un Langone o un suo simile che rimpiangerà i bei tempi in cui le donne stavano al posto loro, perché, come dice la zia Lydia di Atwood, non volevano cose che non potevano avere.
Cosa dovrebbero avere, invece, le ragazze a cui tutte diciamo di guardare e che in realtà, molto spesso, avvinghiamo in dolci lacci proponendo loro di seguire le nostre orme (come fece, qualche Sanremo fa, Barbara Palombelli)? Sarebbe bello, intanto, che non fossero obbligate a essere sempre dalla parte delle giuste e che potessero essere persone fino in fondo, con i chiaroscuri e le ambiguità di tutti coloro che camminano sulla Terra.
Sarebbe bello che non ricadesse su di loro il compito di ricucire il mondo, faccenda che non mi ha mai convinto (e agli uomini quali cose spettano, gli strappi e i bottoni penzolanti?). E che non debbano essere necessariamente positive, vincenti, col mondo fra le mani, con la capacità di fare tutto. Sarebbe bello che fossero libere.
Libere, e non ci sarebbe bisogno di dirlo ma occorre farlo, dagli ostacoli e dalle insidie del lavoro che continua a essere negato o reso difficile, o impossibile; libere dal precariato, dall’incertezza, dallo sfruttamento; libere, ma forse questo va detto ancor prima, da ciò che mette a rischio i loro corpi e le loro vite, come ogni giorno avviene; libere dalla scarsa stima altrui, ormai sempre meno dichiarata ma sempre presente; libere di non essere vittime; libere di non essere lettrici da blandire con copertine finto-adolescenziali che le rassicurino dicendo loro che la letteratura consola e che alla fine splende il sole (non è così, la letteratura non consola, la letteratura pone domande); libere dal dover dimostrare sempre qualcosa; libere dalla paura; libere dall’ambizione. Non l’ambizione che ti porta a desiderare una vita migliore, e più felice, qualunque cosa significhi la parola: ma quella che ti fa vivere guardinga, pronta ad affondare le mani nella prima occasione utile, e che negli anni ha spinto un’intera generazione alla competizione, facendo i disastri che vediamo (forse).
Dunque, la cosa preziosa di oggi è Missitalia di Claudia Durastanti, che esce ora per La nave di Teseo. Dove le donne, che siano avventuriere nell’Italia di fine Ottocento, antropologhe nel dopoguerra, funzionarie dell’Agenzia spaziale del futuro, sono lontanissime da ogni stereotipo e, in modi diversi, ribelli, per una volta, e sul serio. Buon 8 marzo.