Epifani propone l'8 dicembre come data delle primarie e 'sgancia' la leadership del partito dalla candidatura a premier. Contenti gli amici di Letta, il gruppo del rottamatore decisamente no
Scuro in volto, era Matteo Renzi, lasciando l'assemblea del Partito democratico. Parlerà a Ottoemezzo, su La7, ospite di Lilli Gruber, ma per ora ai giornalisti che lo assediano dice: «Non dico nulla, rassegnatevi». Da commentare ci sarebbe la data che Guglielmo Epifani ha proposto per svolgere le primarie: 8 dicembre, festa dell'Immacolata. In platea gira una battuta fulminante: «saranno delle primarie della Madonna».
Nulla di fatto per le regole, invece: la commissione presieduta da Roberto Gualtieri è ancora in alto mare. Il verdetto è però atteso per sabato mattina alle 9,30, quando è cioé previsto l'intervento dello stesso Gualtieri. Lo slittamento dei tempi è stato accolto malamente dalla platea. Da notare l'intervento del civatiano Paolo Cosseddu, che dal palco ha detto: «Sono l'unico che si sente preso in giro e che è venuto qui oggi pensando di dover decidere qualcosa?». Applausi.
«Mi è venuto in mente che forse dovremmo fare un po' di chiarezza», aveva esordito il segretario Epifani, provocando non poca ironia. Ma non oggi, evidentemente. Perché oggi l'accordo non c'è. La proposta di Epifani, mai detta ma riferita, è quella di far votare prima i circoli comunali e provinciali, poi di tenere le primarie nazionali (l'8 dicembre, appunto), e dopo di eleggere i segretari regionali. I renziani si tengono margini di trattativa, ma — è noto — preferirebbero fare tutto insieme, perché temono che lo spacchettamento possa provocare uno slittamento della data. «Hanno proposto l'8 dicembre pur sapendo bene che solo i loro vanno a votare il giorno dell'Immacolata», ha sbottato Lorenza Bonaccorsi, renziana doc, «almeno ci dessero la possibilità di votare tutto lo stesso giorno». Chi gira sorridente è invece il lettiano Marco Meloni: «va benissimo. Va benissimo», ripete soddisfatto. Letta, assente, avrebbe accolto con preoccupazione la data ideale dei renziani: 24 novembre. Troppo presto. I renziani si lamentano, ma per loro la provocazione è del giovane turco Fausto Raciti: «che protestano a fare se poi non riescono a controllare i loro supporter?». L'allusione è al ministro Dario Franceschini, «che certo non ha spinto per votare presto». Il governo di Letta, è anche il suo.
Uno dei nodi da sciogliere è quello citato direttamente dal segretario: «Dovremmo mettere un po' d'ordine tra la figura del segretario del partito e quella di chi si candida a guidare il paese. Credo che abbiamo trovato formule che tolgono l'automatismo senza mettere in discussione l'autorevolezza e il prestigio di chi guida il partito». Non tutti sono evidentemente d'accordo.
Chi pensa che la data proposta da Epifani sia tutt'altro che definitiva, sono i bersaniani, convinti che la data possa arrivare solo dopo aver determinato le regole. I bersaniani sono però accusati di voler rimandare il tutto: «non guardate me», si difende Bersani, «io avrei fatto il congresso da un pezzo. Dico solo che un congresso ben fatto ha i suoi tempi e che si può pure votare domani mattina ma non partecipa nessuno». Cuperlo conferma: «io l'avrei fatto a luglio, figuratevi».
La data, da statuto, non dovrà comunque essere votata: «la indica la presidenza», chiariscono dall'organizzazione. Ma ci sarà sicuramente da discutere. Anche sul numero legale dell'assemblea, difficilmente raggiungibile.
Epifani ha fatto un lungo discorso incentrato su lavoro e economia («No all'aumento dell'Iva»), dopo un incipit su Berlusconi e la pratica della decadenza («non cambieremo strada: le sentenze vanno rispettate»). Ha blindato il governo Letta («ma non sia solo nostra responsabilità»), pur mettendo il premier in guardia rispetto al rischio «lento logoramento»: «non finiremo come Monti», ha detto.
Significativo il passaggio che Epifani ha fatto su Ivan Scalfarotto, in queste ore al centro della contestazione per la sua legge anti omofobia. Epifani lo difende, ma si esibisce in una gaffe notevole: «voglio ringraziarlo per la sua legge in difesa dell'omofobia», ha detto prima di corregersi. «Non dobbiamo aggiungere altro», ha commentato divertito Aurelio Mancuso, di Equality, una delle associazioni LGBT che hanno presidiato il dibattito, «è esattamente quello che diciamo noi, questa legge paradossalmente tutela gli omofobi». Epifani ha poi rilanciato sullo Ius Soli. La platea lo applaude. Civati commenta polemico: «Tutto giusto, anche sullo Ius soli. Ma allora perché non le facciamo in parlamento queste cose? Forse perché con il Pdl non si possono fare? Quanta ipocrisia...».