«Prima diceva che l'Italicum era una legge perfetta, ora che si può migliorare. Si decida, ammetta che ha fatto un errore, e apra un confronto vero».
Pier Luigi Bersani sfodera una delle sue metafore emiliane per svelare la contraddizione di Matteo Renzi, che oggi dalla Camera voleva un voto per dire che la legge elettorale si può ritoccare, se il parlamento vorrà, mettendo così nell’angolo la minoranza del suo partito, che alle modifiche dell’Italicum ha sempre vincolato il Sì al referendum costituzionale.
Dice che l’Italicum si può modificare, il premier che l’Italicum ha fatto approvare con un voto di fiducia, per non cedere ad alcuna correzione, poco più di un anno fa. «A tutto c'è un limite», dice infatti Bersani, «voglio ricordare che le volpi finiscono in pellicceria...». Renzi - traduciamo - sta facendo il furbo, per Bersani, che sa benissimo che non è con una mozione che si modifica una legge elettorale. Non basta una mozione, peraltro vaga come quella predisposta dal capogruppo Ettore Rosato e concordata con l’alleato Alfano, una mozione che non indica le correzioni da apportare né una tempistica. «Le mozioni sono come gli ordini del giorno: non si negano a nessuno», dicono dalla minoranza dem, che infatti non vota il testo.
E così il Nì di Bersani al referendum costituzionale può restare tale, ancora per un po’. In un rapporto tra minoranza e maggioranza interna che si fa sempre più teso, ormai ben oltre il limite della diffidenza reciproca. La strategia di Renzi, dunque, non ha avuto l’effetto sperato. Non del tutto, almeno. Non è riuscito a girare completamente a suo favore il dibattito voluto dalle opposizioni, da sinistra italiana che ha ottenuto la calendarizzazione della prima mozione votata dall’aula, e bocciata, che indicava i supposti profili di incostituzionalità dell’Italicum su cui, il 4 ottobre, si sarebbe dovuta esprimere la Corte Costituzionale. E Lorenzo Guerini deve così fotografare il parziale fallimento: «Credo che sia sbagliato che non tutto il Partito democratico voti la mozione di maggioranza. Ma non drammatizzo».
Bersani&co non hanno votato la mozione della maggioranza, che è invece stata votata dai deputati di Verdini ed è stata approvata con 293 voti favorevoli. Per non accentuare la spaccatura, la minoranza non ha però neanche compattamente votato la mozione di Sinistra Italiana, bocciata, né tantomeno quella del Movimento 5 stelle che indicava la via di una nuova legge elettorale proporzionale, riprendendo la proposta di legge ribattezzata “democratellum”. Il sentimento è però quello che esprime bene, da destra, Ignazio La Russa, intervenendo in aula a nome di Fratelli d’Italia. Per ragioni diverse, La Russa dice: «Qui nessuno ha l’anello al naso». Esattamente. La minoranza dem si sente presa in giro da Renzi. «Nel 2015 abbiamo messo la fiducia per approvare una legge elettorale sbagliata. Ora ci viene presentata una mozione generica che dice molto poco e che rischia solo di alimentare il gioco a nascondino di queste settimane», dice Roberto Speranza: «Il massimo che posso fare per dignità è non votare contro una mozione che ritengo debolissima».
Le accuse dei colleghi di partito, questa volta sono abbastanza mirate. Tutti ricordano i tre voti di fiducia posti sull’Italicum, e la sostituzione dei membri non allineati della commissione affari costituzionali. Attacchi simili sono arrivati dalle opposizioni. Dal Movimento 5 stelle, con Alessandro Di Battista che, tirando in ballo banche e lobby, dice più semplicemente che il cambio di posizione del premier è legato all’avanzata del Movimento, più che a una strategia in vista del referendum: «Dato che hanno visto che con l'Italicum il rischio di una vittoria alla Camera del M5S era alto sono corsi ai ripari», dice il deputato 5 stelle. «L’Italicum sembra serie tv che pareva conclusa e invece c'è il sequel o forse lo spin-off», scherza invece Giuseppe Civati, «pura fiction alla Camera». Non si contano, in aula, citazioni di Giorgio Napolitano, Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, e pure di Matteo Orfini. «Deve esser arrivato il contrordine compagni», provoca Renato Brunetta.