In Emilia-Romagna, come nel resto del paese, Lega e Fratelli d’Italia sono oltre il 40 per cento. Invece di festeggiare lo scampato pericolo, sinistra e centrosinistra dovrebbero essere preoccupati

Matteo Salvini
La legittima euforia per lo scampato pericolo in Emilia-Romagna della sinistra e del Partito democratico mette in ombra una realtà che dovrebbe invece preoccupare se ci si ponesse in una prospettiva non solo di breve periodo.

Lo scampato pericolo è tale rispetto alle aspettative sul voto nutrite dai sondaggi. Tuttavia, i dati parlano di una tenuta, e anzi di un lieve rafforzamento, della destra radicale di Matteo Salvini e Giorgia Meloni anche in quella che fu la regione rossa per eccellenza. La lieve flessione della Lega rispetto all’exploit del voto europeo non solo non deve far dimenticare che rispetto sia alle regionali del 2014 sia alle politiche del 2018 oggi esprime una forza di ben 12 punti percentuali in più, ma che a quella flessione corrisponde l’avanzata di Fratelli d’Italia. Insieme, in soli due anni, Lega e FdI sono passati dal 22,5 al 40,5 per cento.

Il centrodestra è fagocitato dalle sue componenti radicali e in questa veste in Emilia-Romagna ha acquisito una forza estremamente significativa. Di poco, molto poco, inferiore al quel circa 43% attribuito dai vari e recenti sondaggi a livello nazionale. Infine, nel voto del 26 gennaio, se diversi fattori contingenti, dagli errori di Salvini con la sguaiata e incivile campagna concentrata sulla sua persona al disfacimento del M5s che ha favorito il candidato della sinistra (buona parte del suo ex elettorato era già traghettato verso la Lega da tempo) alla mobilitazione probabilmente indotta dalle Sardine, hanno favorito Stefano Bonaccini, è bene rammentare che tra le due coalizioni la differenza è stata inferiore ai tre punti percentuali (venti nel 2014).

Lo sconfitto
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È indubbio che queste elezioni hanno segnalato i limiti della spregiudicata propaganda salviniana. Tuttavia hanno segnalato anche che domani diverse contingenze potrebbero rendere maggioritaria la percentuale di chi anela all’alternanza mai realizzatisi in Emilia-Romagna, che non è solo esempio di una amministrazione che, perlomeno in termini relativi, può essere considerata soddisfacente, ma anche di un sistema di potere, politico, economico e burocratico, che una buona parte di emiliani e romagnoli trova ormai intollerabile. A sfidarlo ora è la destra populista e molti cittadini paiono disposti a sposarla per rovesciare gli equilibri politici. Tanto più che il Partito democratico nella regione (come d’altro canto a livello nazionale), come è stato mostrato in un volume a cura di Marco Valbruzzi per l’Istituto Cattaneo, ha perso gran parte dei connotati di partito “popolare” e sulle diverse dimensioni sociali, economiche, territoriali appare percepito positivamente più da chi si colloca al “centro” che non alla “periferia”.

Come si coglie anche nella bella descrizione delle periferie dimenticate sul magazine de Il Mulino di Bruno Simili. «[…] alla fine di una campagna estenuante occorre tornare a guardare ai luoghi più difficili e ostili, e tornare a mettersi in ascolto», ha concluso. Ma è difficile conciliare l’ascolto con il mantenimento di un sistema pluridecennale di consociazione e potere, rispetto al quale nessuna parola di autocritica e cambiamento è mai stata espressa dai governanti della regione, ieri come oggi. Come accade a livello nazionale, dove la vittoria di Bonaccini è stata metabolizzata, in particolare da Nicola Zingaretti e dal vero dominus del partito Dario Franceschini, come un premio da incassare e portare alla più generale strategia di “resistenza” alla destra dall’interno delle istituzioni di governo dove si sono trincerati insieme ai 5stelle. Senza nuove idee, senza nuove politiche, senza alcuno spirito di innovazione che non sia quello di “allargare”, ma non si sa per fare cosa.

Ma sia in Emilia-Romagna sia in Italia in questo modo il sistema politico è destinato a polarizzarsi sempre di più, una polarizzazione tra chi vuole mantenere il potere a qualunque costo e chi vuole rovesciarlo a qualunque costo. Dopo le elezioni del 26 gennaio si è cominciato a parlare del ritorno al bipolarismo. Ma come ci ha insegnato il compianto Giovanni Sartori, i sistemi bipolari polarizzati sono destinati a spaccarsi.