Il ministro respinge le accuse dell'opposizione sulla repressione dei manifestanti pro Palestina da parte della polizia e nega l'uso dei codici identificativi per gli agenti: "Bastano le body cam". Il portavoce Noury: "Non è un'alternativa e non garantisce i cittadini"

Quindi non è successo nulla. «Respingo qualsiasi suggestione circa il clima vessatorio e anticostituzionale verso coloro che manifestano», ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, rispondendo in question time ad una interrogazione di AVS sull'identificativo per gli agenti impegnati in servizi di ordine pubblico. 

 

Nessuna manganellata agli studenti di Pisa e Firenze che chiedevano la fine del massacro a Gaza, ragazzini colpiti mentre erano già a terra e inseguiti nei vicoli, non è successo nulla ai manifestanti sotto le sedi Rai di Napoli e Torino su cui i manganelli in aria sono volanti contro teste nude, coperte dalla braccia, senza caschi né protezioni. Sugli "eccessi" della polizia si era espresso anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella per ricordare come «usare i manganelli contro i ragazzi rappresenti sempre un fallimento per chi indossa una divisa». Ma il titolare del Viminale alla Camera ha indicato un'altra questione «Sono le forze di polizia a riportare il maggior numero di feriti in occasione di scontri in manifestazioni di piazza. Nel 2023 sono stati 120 gli operatori feriti a fronte di 64 tra i manifestati e dall'inizio di quest'anno sono stati 115 rispetto a 41 tra i partecipanti». 

 

E sulla sulla necessità di utilizzare dei codici identificativi sulle uniformi delle forze dell’ordine ha respinto ogni possibilità: «Il tema dell'identificazione del personale di polizia nei servizi di ordine pubblico spesso sconta dei pregiudizi. Dal gennaio 2022 sono in uso body-cam che costituiscono un utile strumento di documentazione degli accadimenti e di identificazione degli agenti intervenuti. Identificazione - ricordo - a cui mai nessun operatore si è sottratto, contribuendo anzi in modo volontario come dimostrano i fatti di Pisa». 

 

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, contattato da L'Espresso non è convinto: «Direi che invece c'è un clima vessatorio. Le immagino parlano chiaro e trovo assurdo fare una gara di numeri, perché quei numeri non ti dicono nulla sulle ferite riportare, i referti, le prognosi. Ci sono video che immortalano come le manifestazioni siano degenerate in atti di violenza a seguito delle cariche: Torino, Napoli, Roma, Pisa dove non sono state usate tecniche di contenimento ma si è caricato e basta. Li inseguivano negli angoli per impedire ogni via di uscita e poi caricare, ha riportato alla memoria, sebbene con esiti limitati e per fortuna, Genova nel 2001». Amnesty porta da tempo avanti una campagna per inserire anche in Italia i codici identificativi lanciata durante il decimo anniversario del G8 di Genova ma per il ministro dell'Interno bastano le body cam: «Questo tema delle body cam ci viene sempre posto, non siamo contrari ma non è un'alternativa ai codici. I codici alfanumerici sono utili alla prospettiva di chi è dall'altra parte, una garanzia per una persona soggetta a un'uso eccessivo della forza. E poi c'è la prospettiva: quella della body-cam è solo di un agente della polizia, prendiamo ad esempio gli Stati Uniti: la prospettiva è di un agente ti consente di vedere un altro agente che fa qualcosa, ma attenzione è sempre una prospettiva della polizia. E poi c'è una questione di privacy: cosa viene ripreso? Dove vanno a finire queste immagini? Cosa succede alle persone riprese? In una situazione di gestione dell'ordine pubblico mi sento garantito se so chi ho di fronte qui è l'opposto. Infine per smentire il ministro basterebbe dare un'occhiata agli emendamenti della Lega al cosiddetto “pacchetto sicurezza“ (il ddl approvato a novembre dal Consiglio dei ministri e ora in discussione nelle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera n.d.r) che puntano a innalzare fino a 25 anni di reclusione la pena per chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali». 

 

La proposta della Lega vuole introdurre un nuovo comma all’articolo 339 del codice penale, che elenca le circostanze aggravanti dei reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato. Le pene, che di base possono arrivare a sette anni,  aumentano in modo generico dal primo comma “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico“. Insomma, se la proposta diventerà legge, chi protesterà in gruppo contro un’opera pubblica con manifestazioni simboliche, se queste verranno considerate “minacciose o violente”, rischierà fino a 25 anni di carcere (la pena massima del secondo comma aumentata di un terzo). «Questo è il clima che si respira- conclude Noury- come si fa a non vederlo?».