La Corte costituzionale, in una sentenza depositata oggi, ha ribadito che offrire aiuto al suicidio a un malato terminale non è punibile. Le opposizioni protestano per la mancata presentazione della bozza annunciata dal centrodestra

Fine vita, la Consulta invita (di nuovo) il Parlamento a legiferare. Ma il testo promesso dalla maggioranza non c'è ancora

Offrire aiuto al suicidio a un malato terminale non è punibile. La Corte costituzionale, in una sentenza depositata oggi – 20 maggio – ha ribadito ancora una volta quanto già stabilito in altre precedenti pronunce. In particolare, la Consulta ha affermato che è legittimo non punire l'aiuto al suicidio se il paziente necessita, “secondo la valutazione medica, di un trattamento di sostegno vitale”. Poi, in un altro passaggio della sentenza numero 66, i giudici costituzionali rinnovano l’invito al Parlamento affinché legiferi sul fine vita e riempia il vuoto normativo. Casualmente, l’appello della Consulta arriva proprio nel giorno in cui il Comitato ristretto della commissione Affari sociali del Senato aspettava un testo base del centrodestra sul fine vita. Ma alla fine, del testo che avrebbero dovuto presentare i relatori Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia) non ce n’è traccia.

La pronuncia della Consulta

La Corte costituzionale era chiamata ad esprimersi su una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (che punisce l’“istigazione o aiuto al suicidio”, con pene da 5 a 12 anni) sollevata dal gip di Milano dopo che il pm aveva chiesto di archiviare due procedimenti. La Consulta è arrivata alla stessa conclusione di una precedente sentenza, la 135 del 2024: “Il requisito che il paziente dipenda da un trattamento di sostegno vitale – ha ribadito nella sentenza odierna – è integrato già quando vi sia l'indicazione medica della necessità di un tale trattamento allo scopo di assicurare l'espletamento delle sue funzioni vitali, in sostanza ogniqualvolta si debba ritenere che l'omissione o l'interruzione di tale trattamento determinerebbe prevedibilmente la sua morte in un breve lasso di tempo, e sussistano tutti gli altri requisiti sostanziali e procedurali indicati dalla sentenza numero 242 del 2019”. Quella sul caso Cappato/Dj Fabo, in cui si individuavano i quattro criteri per cui è possibile l’eutanasia passiva in Italia: patologie irreversibili, sofferenze intollerabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.

L'appello al Parlamento

La Corte ha poi ricordato che è un “preciso dovere della Repubblica” garantire “adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte”. I giudici costituzionali non hanno nascosto la “preoccupazione” per il fatto che, ancora oggi, “non è garantito un accesso universale ed equo alle cure palliative nei vari contesti sanitari, sia domiciliari che ospedalieri; vi sono spesso lunghe liste di attesa; si sconta una mancanza di personale adeguatamente formato e una distribuzione territoriale dell'offerta troppo divaricata; e la stessa effettiva presa in carico da parte del servizio sociosanitario, per queste persone, è a volte insufficiente”. E infine “l’auspicio – l’ennesimo – che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n. 242 del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla presente pronuncia”.

Il testo del centrodestra non c'è

L’appello della Consulta, almeno per oggi, andrà a vuoto perché il testo base per un futuro provvedimento organico sul fine vita non c’è ancora. Il governo, che il 9 maggio ha scelto di impugnare l’unica legge finora approvata in Italia, quella della Toscana (ma oggi è iniziato l'iter anche in Sardegna), aveva promesso una bozza per far ripartire il dibattito in Aula. “Al momento non c’è una condivisione”, è stata la difesa di Zanettin, anche perché “nelle more è stato presentato un altro disegno di legge sul tema da parte della senatrice Maria Stella Gelmini” e “credo che verrà abbinato” a quelli già all’attenzione della commissione, tra cui quello del senatore Pd Alfredo Bazoli, calendarizzato però a luglio. La scelta di non presentare alcun testo ha scatenato uno scontro in commissione. “La maggioranza è spaccata, non vogliono entrare nel merito di nessuna questione. Cercano solo di perdere tempo e quindi cosa ci stiamo a fare qui? A farci prendere in giro?”, ha attaccato Bazoli abbandonando i lavori del Comitato ristretto. È uscita dal Comitato anche Ilaria Cucchi di Avs: “Basta ritardi. Abbiamo abbandonato i lavori del comitato ristretto sul fine vita, perché la destra sta prendendo in giro il Parlamento e gli italiani. E' inammissibile che dopo mesi in Commissione, una legge importante che risponderebbe alle sofferenze di tante persone, sia ancora ai blocchi di partenza. Una destra disumana impugna la legge regionale toscana e boicotta una legge di civiltà, necessaria e urgente. Non sono d'accordo tra di loro e bloccano tutto”. Il senatore Pd Francesco Boccia si rivolge direttamente a Ignazio La Russa, affinché “intervenga” per “imporre che la commissione discuta il testo Bazoli votato alla Camera e in ogni caso stabilisca una data, fissa, in cui cominciare la discussione in aula sul fine vita. Va impedito che questa destra continui a prendere in giro il Parlamento, la Consulta e le famiglie italiane”.

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