Politica
29 luglio, 2025Ma la presidente del Consiglio ha paura: quanto durerà la tregua sui dazi Ue con il leader del Carroccio?
Parola d’ordine: cautela. Un termine che raramente si associa a Matteo Salvini, ma che negli ultimi giorni viene ripetuto quasi come un mantra nella segreteria leghista. Perché l’accordo di massima sui dazi raggiunto tra Donald Trump e Ursula von der Leyen – ancora tutto da tradurre in testi ufficiali – ha agitato le acque in maggioranza come non accadeva da tempo. E mai, raccontano a Palazzo Chigi, si era vista finora Giorgia Meloni firmare una nota di governo insieme ai suoi due vicepremier, Salvini e Antonio Tajani. Un segnale plastico della tensione che serpeggia, e della necessità, percepita come urgente dalla premier, di dare un’immagine di compattezza.
La partita è delicatissima. Perché dietro al generico impegno a rafforzare l’import americano di gas liquefatto, e al tentativo di congelare i dazi su acciaio, alluminio e auto europee, restano ancora molte ombre: a partire dai settori agroalimentare e vinicolo. E per Salvini, spiegano fonti parlamentari, questo dossier non è un capitolo qualunque: tocca direttamente l’ultimo pezzo di elettorato “storico” del Carroccio, quello che resiste in Lombardia e Veneto tra imprenditori, partite Iva, export del vino e del food.
Per questo, nelle riunioni riservate di via Bellerio, la parola d'ordine al momento è «attendere». Comprendere bene i dettagli dell’intesa, evitare scivoloni, non dare l’impressione di remare contro il governo proprio nel momento in cui la premier ha blindato politicamente la trattativa con Washington. Eppure, dietro questa tregua apparente, resta la paura che il conto politico lo debba pagare proprio la Lega.
La leadership di Salvini, già appannata dopo le ultime elezioni, rischia infatti di incrinarsi ulteriormente se dovesse perdere altri punti percentuali nel cuore produttivo del Nord. «Se ci bruciamo anche l’ultima fiducia degli imprenditori, per noi è finita», ammette un deputato leghista di lungo corso. Il problema è che l’esperienza della “Lega nazionale”, quella che puntava a sfondare nel Centro e nel Sud, ha lasciato più delusioni che voti. E oggi la sopravvivenza politica di Salvini passa di nuovo per i capannoni, le piccole e medie imprese, gli artigiani e gli esportatori padani.
A via della Scrofa, quartier generale di Fratelli d’Italia, sanno che la tregua con il leader leghista non potrà durare in eterno. Salvini non è abituato a stare fermo a lungo: il rischio, dicono fonti vicine a Meloni, è che prima o poi torni a differenziarsi, anche solo per marcare il territorio. Per ora la premier gli chiede compattezza, consapevole che qualsiasi polemica interna indebolirebbe l’Italia proprio nel momento più delicato nella sua esperienza a palazzo Chigi.
Il clima dalle parti della premier, raccontano, è segnato da un nervosismo contenuto. Meloni, che ha seguito da vicino ogni passaggio con la Commissione Ue, pretende che la maggioranza non si divida, almeno fino a quando non saranno chiari i contorni dell’accordo. Ma l’equilibrio resta fragile: Tajani, che ha buoni rapporti sia con Bruxelles che con i repubblicani americani, fa da cuscinetto; Salvini, per ora, trattiene il fiato, ma non rinuncia a rassicurare il suo elettorato.
Il nodo resta sempre lo stesso: come conciliare la fedeltà atlantica con la tutela del made in Italy e delle imprese del Nord, senza apparire subalterni a Bruxelles o a Berlino. Una quadratura che finora la Lega non ha trovato, e che rischia di trasformarsi in un nuovo banco di prova per la tenuta della coalizione.
Nel frattempo però nella Lega cresce il timore che Trump in un prossimo futuro possa porre condizioni ancora più dure all'Europa, cosa che ha già fatto con diverse nazioni anche dopo aver chiuso le trattative. A quel punto, dicono fonti leghiste, la “cautela” non basterebbe più: servirebbe un cambio di linea. Ma per ora, spiegano, l’ordine è uno solo: «Aspettare, capire e non agitare troppo le acque». Almeno fino alla prossima bastonata di Trump all'Europa.
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