La partita dei referendum nazionali rischia di giocarsi fuori casa. «All'estero, ci sono 3 milioni e 200 mila elettori potenziali», dice il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, «e questi dovrebbero essere scorporati, sottratti al conteggio totale, altrimenti condizioneranno pesantemente il raggiungimento del quorum». Non solo: Di Pietro afferma di voler ricorrere in Cassazione perché «le operazioni di voto all'estero si sono chiuse l'1 giugno scorso e i nostri connazionali non possono tornare indietro dopo aver votato un quesito diverso da quello passato in Cassazione (sul nucleare, ndr)».
La cifra stimata dal leader dell'Idv coincide abbastanza con i dati ufficiali: secondo il Rapporto Italiani nel mondo 2010 della Fondazione Migrantes, gli italiani residenti all'estero sono 4.028.370 (pari al 6,7 per cento della popolazione residente in Italia). Il 55 per cento di questi vive in paesi extra-europei e un sesto - circa 650 mila - è minorenne.
L'allarme di Di Pietro nasce dal fatto che molti cittadini all'estero non riusciranno votare alle prossime consultazioni referendarie: soprattutto molti connazionali non iscritti all'Aire (Anagrafe italiani residenti all'estero) non ne avranno proprio facoltà.
Ma gli italiani extra-moenia non hanno gli stessi diritti dei cittadini in Patria? «Dipende dal motivo della residenza», spiega Licio Palazzini, presidente Arci Servizio Civile e membro della Conferenza nazionale degli enti di servizio civile (Cnec). «Temiamo che il ministero degli Esteri sia frenato dall'aprire il "vaso di Pandora": se il dicastero si organizzasse, ad esempio, per consentire il voto anche ai nostri volontari, dovrebbe farlo verso tutti gli italiani residenti all'estero non registrati alle anagrafe». Connazionali che magari rischierebbero di dare una mano alle cause referendarie. Ma agevolare il voto degli italiani extra-moenia non dovrebbe essere la regola? No, governo dixit. Infatti, a leggere l'ultimo dettato normativo emerge chiaramente la posizione governativa: tutti uguali gli italiani all'estero, anche se i militari sono un po' più uguali degli altri.
«I nostri volontari hanno un'alta propensione al voto», riprende Palazzini «anche per questo ci eravamo attivati mesi fa per consentirgli di partecipare alle consultazioni dall'estero». Ma il governo non era molto interessato alla faccenda.
Lo scorso 17 maggio, infatti, il Senato ha approvato un decreto legge (n. 2680) che regola le modalità di voto per i prossimi referendum del 12 e 13 giugno, aprendole ai militari e ai funzionari dello Stato all'estero, ma non ai volontari delle ong e del servizio civile.
Al governo, l'opposizione è riuscita a strappare solo una promessa generica: consentire, in futuro, ai cooperanti internazionali di avere la soddisfazione dello stesso diritto di cui godono i militari all'estero. «Si chiede», spiega il senatore del Pd Stefano Ceccanti,«di considerare il lavoro dei volontari e del personale di organizzazioni non governative operanti nelle zone in cui si svolgono le missioni internazionali alle quali partecipa l'Italia equiparandolo al personale militare, dal momento che le missioni internazionali coinvolgono a vario titolo persone che svolgono un lavoro di importanza equivalente».
Peccato, sarà per la prossima tornata referendaria. Ma intanto ai cooperanti si aggiungono i circa 20 mila studenti italiani in questo momento all'estero perché coinvolti nei progetti di interscambio promossi dall'Unione europea, in particolare l'Erasmus e il Leonardo Da Vinci. Stesso discorso vale per i lavoratori stagionali e per tutti gli italiani che non intendano risiedere all'estero per più di 12 mesi: non essendo iscritti all'Aire non potranno neanche esercitare il loro diritto di voto.
'L'Espresso' ha sollecitato a tal proposito la Farnesina che ha replicato: «Se non esiste la volontà di iscriversi all'Aire, non possiamo costringere i connazionali a farlo, né vi è possibilità per una specifica disciplina in quanto la materia è già regolata dalla normativa esistente».
Mentre la seconda questione riguarda proprio la richiesta fatta a suo tempo dal Servizio civile nazionale e dall'opposizione, sulla prima è opportuno ricordare che regolarizzare la propria residenza all'estero, a causa dell'ingolfamento dei nostri uffici consolari, non è solo un problema di "volontà".
Come testimonia il politologo Attilio Folliero, «in Venezuela, ad esempio, gli appuntamenti per la richiesta di cittadinanza sono fissati ad oltre quattro anni. E anche per la trascrizione di un atto di nascita di un figlio ormai sono necessari anni».
Quindi, secondo le regole vigenti, se non si è regolarmente iscritti all'Aire possono votare all'estero solo i militari, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e i professori universitari con rispettivi famigliari: tutti gli altri italiani, no. Il ministero degli Esteri ha poi tenuto a puntualizzare: «Relativamente all’inclusione di ulteriori categorie tra i c.d "temporanei", la discriminante tra modalità di voto in Italia e voto per corrispondenza all’estero non può che essere il servizio pubblico reso all’estero, nonché la assoluta garanzia della presenza all’estero degli aventi diritto nel periodo delle votazioni».
In questa categoria rientrerebbero a pieno titolo i cooperanti internazionali, che sono invece stati esclusi dalla possibilità di voto. Come a dire, la Farnesina conferma il principio smentito nei fatti dai provvedimenti governativi.
D'altra parte, l'assenza di tanti nostri connazionali all'estero inciderà sul quorum generale, perché i loro voti potenziali saranno conteggiati. «La legge 64 del 2001 sul Servizio civile nazionale – conclude Palazzini – definisce quest'ultimo come "uno strumento alternativo per difendere la patria in modo non armato e non violento". Il governo, nel 2010, ha proposto una riforma dove questo principio sia ancor più riaffermato. Eppure nei fatti non ci è riconosciuta la stessa dignità dei militari». Neanche come cittadini davanti alle urne elettorali.