La ragazza incinta. Nonno e nipote. E tanti giovani a caccia di un futuro che si ferma davanti al muro austriaco. Uno scrittore racconta la disperazione alla nuova frontiera

Poliziotti austriaci in assetto antisommossa in occasione della manifestazione promossa dai centri sociali e da 'Sinistra italiana' contro l'ipotizzata chiusura ai migranti del valico italo-austriaco del Brennero, Brennero, 24 Aprile 2016. ANSA/ ROBERTO TOMASI
I muri fanno più rumore quando cadono. Vengono su, invece, senza frastuono, con lentezza. Reti metalliche, cavi, tubi sono stesi là, nel cantiere sull’autostrada, inoffensivi - qualcosa come un’avvisaglia o una minaccia.

Il progetto austriaco prevede 370 metri di confine visibile e un imbuto più stretto per le auto che viaggiano da sud. Quanto ?al confine invisibile, c’è già. Di fatto, anche il muro.

Sull’Eurocity 86 diretto da Verona a Monaco, condivido ?lo scompartimento con due somali. Nonno e nipote, scopro quando un’insolita coppia - poliziotto italiano e controllore austriaco - chiede i documenti. Non a me. Faccio per mostrare il passaporto. No, non lei, signore. L’austriaco ?fa un gesto quasi stizzito. I due somali - il ventenne ?e il suo nonno giovane - hanno i biglietti, non i documenti. "Where are you going? Munich". Per turismo, aggiungono. Niente. Ultima fermata Bolzano. Li fanno scendere.
L'analisi
Così si può salvare l'Europa
9/5/2016

Sembra una cosa impossibile, mi aveva detto - prima di salire sul treno, a Verona - una signora di Milano che da anni vive in Germania. Impossibile che facciano un muro tra l’Italia e l’Austria, no? Sì, impossibile. Non lo faranno mai. Alla stazione di Bressanone chiedono di nuovo i documenti. Non a tutti. Scendo a Brennero, e scendono con me - scortati da due poliziotti - quattro o cinque migranti. Uno di loro - quello con la carnagione più chiara - sa qualche parola in italiano, sorride a un poliziotto, fa per accarezzargli la schiena. Lo perdo di vista, me lo ritrovo che bussa con forza alla porta del bagno pubblico, mi fa segno di uscire, brusco. Si chiude dentro.
Intervista
"Il Brennero simbolo dell'Europa. Reti e controlli mettono a rischio i nostri valori"
28/4/2016

Gli altri, intanto, vengono accompagnati in caserma. Provano a identificarli, lasciano a ciascuno un verbale ?che dice «la persona in oggetto generalizzata è invitata ?a presentarsi presso l’ufficio immigrazione del comune di Lodi» entro una settimana. «Non presentandosi nel termine stabilito sarà soggetta alla sanzione amministrativa ?del pagamento di una somma da euro 154 a euro 516».

Ebrima D., nato a Bakau, Gambia, il 5 settembre 1997, ?mi mostra il foglio con un’espressione che non decifro. Rassegnata no: rabbiosa, forse. Lo dice un minuto dopo, spiegando al cameraman di un telegiornale che non ha voglia di essere ripreso. I’m angry, sono arrabbiato. Arrabbiato con l’Italia: se avessi saputo che era così, non sarei mai partito. Io e il fotografo proviamo a spiegargli ?che l’Italia non c’entra, non in questo, che c’è un confine con un’altra nazione, e che al momento è impossibile andare di là. Perché? domanda lui. Lasciatemi vivere. ?
Il caso
Austria: sì a deportazioni e arresti ai migranti "Le nuove leggi violano il diritto internazionale"
27/4/2016

Il viaggio lo ha fatto con suo fratello più grande di uno o due anni - il passaggio da Tripoli, il viaggio verso la Sicilia, in centocinquanta sul barcone, sette mesi a Lodi. Vuole raggiungere uno zio a Monaco, dice "my uncle" e gli occhi diventano lucidi. Qual è adesso il tuo piano? Scuote la testa, resta in silenzio. Poi dice: provo a prendere un altro treno. Ma la polizia fa la ronda, gli agenti si allontanano fra un treno e l’altro, si piantano lì a ogni arrivo e partenza.

Fa freddo. Ebrima e suo fratello hanno indosso solo una felpa. Tentiamo di convincerli a passare la notte nel piccolo centro di accoglienza a Brennero. Non vogliono saperne. Noi dobbiamo arrivare a Monaco, ripetono. L’ultimo treno per Innsbruck parte fra un’ora, staziona al binario tronco con le porte aperte. Provate a salire, a nascondervi, gli dico. Salgono, si chiudono in un bagno. Niente. La polizia torna, controlla, li fa scendere prima che il treno si muova. Lasciatemi vivere.
Intervista
Ágnes Heller: rifugiati e terrorismo. L'Europa a un bivio
26/4/2016

La calma irreale di Brennero non sembra scossa da questo ininterrotto viavai di forze dell’ordine. Polizia, carabinieri, esercito. Solcano a passi lunghi i trecento metri fra la stazione e la caserma, nascondono male il fastidio per giornalisti e fotografi. Il momento storico che viviamo ?non è dei migliori, ci dice un carabiniere - così, dal niente, come se questo pensiero persistente fosse balzato fuori dalla sua bocca, quasi contro la sua volontà.

Il momento storico che viviamo si manifesta a Brennero in questo paradosso dei migranti “sospesi”, respinti in Italia da mano italiana. Purché non passino il confine, mi spiega un volontario, va bene tutto: possono prendere qualunque treno che li riporti indietro, a Verona, a Milano, a Roma, magari anche senza biglietto, ma non devono toccare il suolo austriaco. ?E d’altra parte, come raggiungerlo? A piedi?

Thierry E., ivoriano, trentun anni, viaggia con la sua ragazza, ventiquattrenne, al quarto mese di gravidanza. Indossa una tuta e ha per bagagli due sacche di plastica. Vorrebbe sapere come raggiungere Innsbruck. Pensa che sia in territorio italiano. È in Austria, è a trentasei chilometri ?da qui. Sì, sarebbe disposto a proseguire a piedi, ma la sua ragazza è incinta, e ha una tosse terribile. Non vorrebbe comunque fermarsi. Lei sta sempre un passo indietro, chiusa in un silenzio che interrompe all’improvviso, bruscamente. Precisa qualcosa, restando rigida, serissima. Poi di colpo cede alla stanchezza, si piega sulle gambe, scoppia a piangere. È lei però che alla fine convince Thierry ?a cambiare senso di marcia, a prendere un treno della sera per Verona - non c’è altro da fare.
[[ge:rep-locali:espresso:285200639]]
In tre giorni mi affaccio di continuo alla stazione, a ogni annuncio della voce metallica corrisponde lo stesso spettacolo. Ma non è la paventata invasione su cui si accende la campagna elettorale austriaca: i migranti arrivano nell’ordine di una o due decine al giorno. Alza le spalle il tabaccaio, quando gli chiedo com’è la situazione. Tranquilla, risponde. I giornali arrivano tardi al confine, con la lentezza delle mattine di bassa stagione. Due operai smontano una vecchia cabina telefonica. Alza le spalle Houshang, iraniano trapiantato a Treviso dagli anni di Khomeyni, dà una mano a una piccola pensione qui al Brennero, su via Karl von Etzel. Gli austriaci, mi dice, alzano sempre la voce. Vedi quel gigantesco outlet proprio sul valico? Per tirarlo su hanno sventrato vecchie case, ?il proprietario è austriaco.

In effetti, a colpo d’occhio, è un gigante fuori posto. Entro, è quasi deserto. Appena fuori, superata una rotatoria, si è in Austria. Lo annuncia un cartello con scritto Österreich al centro della bandiera europea. Una mano beffarda, con vernice nera, ha aggiunto: “Welcome”. Da un lato, un vecchio nightclub promette ballerine di lap dance, ma ha le pareti stinte, cadenti, e i manichini in vetrina hanno qualcosa di grottesco e di sordido insieme. Dall’altro lato, una pompa di benzina offre un affaccio su un tratto di autostrada fitto di camion. L’autostrada, dice Houshang, ?ha trasformato Brennero, non è più lo stesso da allora. Prima, c’erano più locali, più alberghi, più movimento.

Alza le spalle anche il ragazzo austriaco che lavora all’autogrill nei pressi del cantiere per il muro. Alza le spalle e sorride: anche per l’eccesso di interesse che mostro per l’invisibile. Sulla stampa locale si coglie più ansia, le preoccupazioni economiche si confondono ai proclami austro-tedeschi, agli allarmi (o allarmismi) sul flusso di migranti che potrebbe aumentare con l’estate, sul rischio ?di accampamenti che scoraggino i turisti. L’Assotir stima ?il danno potenziale di una frontiera blindata in 150 milioni di euro. Il contraccolpo ricadrebbe soprattutto su medie ?e piccole imprese. Ma il Brennero non è Lampedusa, ?la battaglia sul confine si gioca a colpi di propaganda politica e di pregiudizi. Il lettore che scrive a un quotidiano preoccupato soprattutto dai possibili bivacchi di migranti - stanno sempre al telefono, osserva -, ha la soluzione in tasca.

Usiamoli come facchini alla stazione, “come lustrascarpe”. Scrive proprio così, “come lustrascarpe”. ?Il mondo, nella testa degli esseri umani, va sempre più lento di quello fuori. Si aggrappa al noto, al certo, tutte le frontiere iniziano lì. La tentazione del muro non è nuova, scrivevano nel 2007, in un pamphlet ?a quattro mani Patrick Chamoiseau ?e Édouard Glissant, martinicani. “Ogni volta che una civiltà non è riuscita a pensare l’altro, queste rigide difese di filo spinato, di reti elettrificate o di ideologie chiuse si sono innalzate, sono crollate e ora ritornano con nuovi stridori”.

Non so se l’idea di comunità europea stia davvero morendo al largo della Sicilia, a Idomeni o qui al Brennero. So che ?ho visto morire qualcosa sul viso di Ebrima - appena calato il sole, in un freddo ancora invernale. E sul viso di Thierry. Si passa una mano sulla fronte, stringe gli occhi, li riapre verso la sua ragazza. Il loro sgomento è muto.

Cercano una soluzione. Ma quale? Non somiglia a nessuna di quelle ?che noi stessi, goffi, ansiosi, inadeguati, proviamo a offrire. Sta più lontano, sta altrove - rispetto ai verbali della polizia italiana, alle minacce di quella austriaca, alle dichiarazioni dei ministri. Nessun male minore - nella geografia che diventa politica - smette di essere un male. Thierry guarda verso Innsbruck, nella direzione che adesso conosce. L’ultima fermata possibile, per ora, per qualche giorno, ?per un anno o due - per quanto? - è Brennero. Ma il suo viaggio non è finito.