La voglia di fascismo? È indole italica, ?ci conosciamo: tanti, piccoli capetti. Sta dilagando e non ci cambierà una legge
Allarme (non più All’armi) siam fascisti! Come può essere capitato? A noi (pardon), noi italiani democratici che abbiamo scritto la Costituzione vietando al partito che fu di Mussolini di rinascere. “L’Espresso” ci
fece una copertina qualche settimana fa. C’erano Grillo, Salvini e Berlusconi con fez e manganello. Tempesta di critiche. E avevano ragione (a propria insaputa) i lettori (di destra) che ci hanno ricoperti di insulti. Non dovevamo disegnare solo loro, ma gli italiani: il popolo nato con la camicia (nera) convinto di avere fatto i conti con la propria indole, prima ancora che con la storia, a suon di leggi e divieti.
Voilà, tutti antifascisti mimetizzati nella democrazia, senza risolvere mai quel problemuccio: ci conosciamo, siamo piccoli capetti che danno ragione al capetto più in alto. A casa, in Parlamento, al bar, su Twitter. Ed è questa normalità, mescolata a nostalgia della nazione e maschilismo diffuso, l’arma segreta del fascismo, la sua intima natura. Si chiama conformismo, fino a quando di mezzo non ci sono guerra, galera o esilio. Ma è lo stesso vizio di obbedire che fa ripetere in televisione a tutti le cose che dice il capo. Lo stesso vizio che ci fa parlare del fascismo per non parlare dei migranti.
Qualche giorno fa, un signore per strada mi dice: «Troppi immigrati, non possiamo mica...». Io rispondo: «Ha ragione, spariamo ai barconi con donne e bambini, così la smettono». Lui alza la testa e fa: «Ma che dice, è scemo?». Io: «Allora rimandiamoli in Libia. Donne stuprate, bambini torturati». E lui: «Stuprate? Ma allora come si fa?». Ho pensato che
questo tipo di dialogo, ai tempi della politica, spettava ai cosiddetti corpi intermedi. Quelli che nel fascismo non c’erano ed erano nati con la Repubblica. Quelli che stiamo eliminando per spending review. Demolendo con l’insulto, nel nome dello spreco, assieme alla base stessa di una democrazia raziocinante. Gli immigrati diventati un problema sono la vera emergenza, dentro cui come un fungo velenoso riemerge il fascismo, non certo i busti del duce o le iscrizioni dell’Eur.
[[ge:rep-locali:espresso:285284327]]La retorica antifascista che ci ha protetti finora, ci ha dato solo l’impressione dello scampato pericolo. Ha commemorato, non ha ricordato.
Memoria significa fare i conti con il fascismo interiore. Noi non l’abbiamo fatto, né prima processando il regime, a differenza dei tedeschi, quando mezzo Paese transitava dalla dittatura alla Repubblica, né dopo. Gli unici conti sono stati fatti a piazzale Loreto, epilogo interiorizzato solo nella letteratura. Penso a Levi, Fenoglio, Pavese. E alla guerra civile di Claudio Pavone. Paradossalmente il “dovere antifascista” della prima Repubblica è ciò che ha permesso di non indagare davvero sul fascismo e che ci riporta a Chioggia, decenni dopo, a rivendicare il “diritto fascista”.
La colpa è nostra, non di quei loschi figuri. Abbiamo fatto una “defascistazia” lessicale. E come il politicamente corretto non cancella il razzismo, né ridà la vista a un cieco chiamandolo “non vedente”, professare l’antifascismo per legge ci ha portati a una ipnosi, alla rimozione della pregiudiziale storica che credevamo eterna. Pregiudiziale che ormai cade dappertutto.
Nel giugno 1945, l’Onu non nasce come parlamento delle nazioni, ma come organizzazione delle nazioni che hanno combattuto l’Asse, con i 5 membri permanenti del consiglio di sicurezza usciti vincitori dal conflitto. Quel mondo sta andando a pezzi. Trump non sa che farsene (è il primo presidente Usa che a Varsavia non visita il monumento degli insorti nel ghetto e ci manda l’ebrea Ivanka), non perché sia fascista, ma perché - a differenza di Bush - è espressione di
un mondo che ha perso i legami con la sua storia. Con Norimberga e l’atomica, ma perfino con la Guerra fredda. Cina e India? Per loro l’antifascismo non ha significato storico né culturale. Putin? Per i sovietici la conquista di Berlino fu per decenni il certificato di appartenenza al mondo civile, mentre oggi il presidente russo interpreta la vittoria sul nazismo con una semantica neo-zarista.
Perfino Netanyahu ha fatto fare dietrofront all’ambasciatore israeliano a Budapest dopo la protesta contro i manifesti anti-Soros (di sapore antisemita) voluti da Orbán. E via elencando. A questo punto una domanda:
siamo sicuri che serva una legge per fermare questo e salvare la democrazia? O forse il problema sta in chi ci rappresenta? Scrisse Bauman: viviamo l’era del divorzio tra potere e politica. La democrazia non è più considerata “valore in sé” da milioni di persone, non perché manchino leggi antifasciste, ma perché i politici possono solo promettere, senza poi attuare tali promesse. E allora che senso ha criticare? Che senso ha votare?
Twitter @Tommasocerno