Il "partito americano" ha lavorato in queste settimane in favore di Conte, e il tweet della Casa Bianca ne è la dimostrazione. Mentre il voto online dei 5 Stelle diventa l'ultima spiaggia per salvare la poltrona di Di Maio. In attesa della decisione finale del Quirinale

La crisi di governo appare sospesa tra Trump e Rousseau, tra l’alto e il basso, tra il vertice della massima potenza mondiale e la piattaforma che incarna il mito della democrazia diretta, che però forse sono la stessa cosa.

Il presidente degli Usa, capofila di tutti i sovranisti mondiali, si è alzato ieri mattina e ha concesso il suo endorsement al suo nuovo amico, Giuseppe “Giuseppi” Conte. Di Matteo Salvini neppure l'ombra. Quando il ministro dell'Interno andò a Washington a fine giugno non fu neppure fatto avvicinare al suo idolo politico. Pesava su di lui il Russiagate, la nostra inchiesta sull'Espresso che non era passata senza conseguenze nella rete informativa a stelle e strisce. Il partito americano, quello che non si identifica con le amministrazioni di turno, Obama o Trump pari sono, ma che tutela nel mondo gli interessi dell'Impero, invisibile ma molto influente, anzi, determinante nelle svolte politiche italiane, ha lavorato sodo in queste settimane: contro Salvini e per Conte.
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Quando il presidente del Consiglio nell'aula di Palazzo Madama, il 20 agosto, ha infilzato Salvini sul Russiagate e ha citato come riferimenti internazionali dell'Italia l'atlantismo e l'europeismo sapeva bene di non buttare lì banalità a caso. Stava indicando i principali sponsor della sua reincarnazione a Palazzo Chigi, quella che si manifesterà con l'incarico di formare il nuovo governo.

La piattaforma Rousseau e il Movimento 5 Stelle non sono estranei agli ambienti del partito americano. Era il 4 aprile 2008 quando dall’ambasciata americana a Roma partì un telegramma per il dipartimento di Stato a Washington, intitolato «Pranzo con l’attivista italiano Beppe Grillo: “Nessuna speranza per l’Italia”. L’ossessione della corruzione». A firmarlo era l'allora ambasciatore a Roma Ronald Spogli, repubblicano. Lo rivelò nel 2013 sulla Stampa Maurizio Molinari, l'attuale direttore, raccontando i contenuti del messaggio: «Bene informato, competente sulla tecnologia, provocatorio e grande intrattenitore, Grillo è unico, una voce solitaria nel panorama politico italiano. La sua unica miscela di humour aggressivo sostenuto da statistiche e ricerche giuste quanto basta, ne fa un interlocutore credibile sul sistema politico italiano... Grillo è un grande sostenitore di Internet, il suo blog gli ha garantito una importante ribalta nazionale e internazionale e lui vi vede un grande strumento per promuovere la trasparenza del governo».

La Grande Crisi
Il vuoto oltre il Palazzo
23/8/2019
Già nel 2008 gli americani avevano cominciato a puntare su Grillo: il Movimento 5 Stelle non esisteva ancora, e neppure la piattaforma Rousseau. Percepivano la crisi dei partiti e puntavano su nuovi attori (politici). Chi meglio di un comico?

Ieri Grillo è intervenuto per chiudere la partita, a favore di Conte e contro il povero Luigi Di Maio, che in serata ha chiamato Nicola Zingaretti quasi implorandolo di trovargli un posto da vice-premier nel nuovo governo. Negli stessi minuti, il blog delle Stelle annunciava che la piattaforma Rousseau dovrà esprimersi sul progetto di governo: «Prima che venga sottoposta al Presidente della Repubblica, questa proposta sarà votata online su Rousseau dagli iscritti del MoVimento 5 Stelle. Solo se il voto sarà positivo la proposta di progetto di governo sarà supportata dal MoVimento 5 Stelle. Il voto dovrebbe avvenire entro la prossima settimana».

Italiano zoppicante, ma ancora più disastrose le nozioni di diritto costituzionale. Tutto il meccanismo di nomina di un nuovo governo, previsto da quella Costituzione che i grillini - Di Battista in testa - dissero di voler difendere salendo nel 2013 sui tetti del palazzo di Montecitorio e votando contro la riforma Renzi nel 2016, sarebbe sottoposto secondo il verbo della Casaleggio associati all'ultima parola della Rousseau. Più che l'ultima parola, l'ultima spiaggia per difendere la poltrona del capo politico Luigi Di Maio. Un atto di eversione e, insieme, di disperazione.

Democrazia protetta, si diceva un tempo per definire lo status dell'Italia, paese di frontiera collocato nella zona di influenza occidentale, come stabilito una volta per tutte nel 1945 dagli accordi di Jalta. La crisi di governo italiana può essere risolta e si risolverà con un'operazione trasformistica, di cui la zuffa sui vice-premier di queste ore è solo la spia. Di Maio dentro, Andrea Orlando ne chiede uno, solo per il Pd. Ma resta una crisi di sistema, di rapporti sociali da ricostruire, di istituzioni calpestate come il Parlamento, di partiti inesistenti nella società e dunque asserragliati nel Palazzo. Non mi preoccupa la destra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni che da oggi comincerà a bombardare il governo che si forma, ma l'incapacità, forse l'impossibilità, della sinistra di alzare il livello del conflitto e del progetto fuori dalle dispute ministeriali, con i soliti noti, comprimari con potere annesso di ogni stagione, in carica con Letta, Renzi, Gentiloni e ora con Conte. Tutti maschi, nell'avvilente totoministri, oltretutto. Una lenta caduta nel vuoto, come nei sogni, scriveva (ancora una volta) Leonardo Sciascia.

Tra Trump e Rousseau, per fortuna, c'è la Costituzione, quella vera, garantita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che stasera prenderà una decisione. In questa crisi che secondo il premier Conte doveva essere la più trasparente e invece si sta rivelando ogni giorno che passa come la più confusa, oscura, ambigua della storia repubblica. Con l'alto e il basso, il capo dei sovranisti e i direttisti della Rete, uniti nella nebbia. E forse nella lotta.