Lavoro fragile
La vergogna senza fine degli studenti sfruttati in nome dell’apprendimento
Tuttofare gratis senza controlli e garanzie. E poche prospettive per il futuro occupazionale. Così l’alternanza scuola-lavoro è diventata un’occasione mancata e rischiosa
Più operai da sfruttare a costo zero che apprendisti. I piani di alternanza scuola-lavoro, con il bollettino di inadeguatezze quotidiane e grandi disgrazie, due morti e un ferito grave nei primi mesi del 2022, dimostrano quanta distanza corra tra gli annunci e la realizzazione concreta.
Da un lato un mercato del lavoro asfittico che punta più sui risparmi gestionali che sulla modernizzazione. Dall’altro, la scuola, incapace di innovarsi non tanto per mancanze di idee, quanto di fondi. Sorda alle richieste che gli studenti hanno gridato dalla maggior parte delle piazze del Paese. Per segnalare le carenze del sistema scolastico e la sua incapacità di rispondere alle necessità di chi lo vive tutti i giorni.
Per denunciare le condizioni inammissibili con cui nella prassi si svolgono i percorsi di alternanza scuola-lavoro: scarsa formazione, scarsa sicurezza, scarso monitoraggio. Che hanno portato alla morte di due studenti: Lorenzo, 18 anni, schiacciato da una putrella durante il suo ultimo giorno di tirocinio a Udine; Giuseppe, 16 anni, vittima di un incidente stradale mentre svolgeva lo stage per una ditta termoidraulica a Fermo. Un mesto elenco a cui va aggiunto il caso di uno studente diciassettenne ricoverato venerdì 20 maggio in condizioni gravi perché rimasto ustionato a causa di un ritorno di fiamma all’interno di un’officina a Merano.
«La scuola dovrebbe gettare le basi per una concezione del lavoro che sia retribuito, gratificante, sicuro, consapevole. E invece la mancanza di tutele e l’assenza di diritti degli studenti nei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto) costruisce un modello di istruzione sempre più vicino alle necessità delle aziende in cui veniamo svenduti come carne da macello. Per questo chiediamo la sospensione dei progetti di Pcto che hanno mostrato apertamente il loro volto di sfruttamento e la subalternità delle scuole alle aziende». Così scrivevano, dopo la morte di Lorenzo Parelli, gli studenti della Lupa, il movimento nato per coordinare le attività dei singoli collettivi studenteschi a Roma. Ma nonostante le proteste, i cortei, gli scioperi e le occupazioni iniziati nel 2021 e proseguiti nel 2022, nonostante le dichiarazioni dei ministri dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, e del Lavoro, Andrea Orlando, secondo cui sarebbe stato fondamentale «mandare i ragazzi a formarsi in luoghi dove lo standard sia ancora più elevato di quello previsto dalla legge», niente è ancora cambiato.
Mercoledì scorso, in audizione in Senato sulle misure di attuazione del Pnrr, il ministro Bianchi ha provato un sottile distinguo: «Abbiamo avuto alcuni incidenti gravi, anche in questi giorni, si è parlato di alternanza scuola-lavoro ma tutti e tre gli incidenti riguardavano la formazione professionale che concerne le Regioni: la verità è che vanno garantite le stesse condizioni di sicurezza in tutto il sistema della formazione. Dobbiamo dare eguale dignità a tutti i percorsi educativi, sono parte di un unico sistema di formazione».
Questo perché sotto il grande cappello che comunemente viene chiamata «alternanza» convivono due sistemi: gli stage per chi frequenta gli istituti che fanno parte del sistema regionale di istruzione e formazione professionale e i Pcto per le altre scuole secondarie di II° grado statali.
L’equivoco nasce dal fatto che al momento dell’introduzione, con la riforma Moratti nel 2003, quelli che adesso si chiamano Pcto erano denominati «alternanza», diventata obbligatoria con la riforma della «buona scuola» del governo Renzi, nel 2015. Ha preso il nome di Pcto nel 2019, da quando, con la legge di Bilancio, è stato ridotto il monte ore (90 ore per i licei, 150 per i tecnici e 210 per i professionali) necessario per rendere valido il percorso.
Nel Paese in cui nel 2021 ci sono stati tre morti al giorno sul lavoro, 126 donne e 1095 uomini, «è importante ricordare che il pericolo per gli studenti durante le esperienze nelle aziende è ancora più alto. Perché non parliamo di lavoratori professionalizzati ma di chi ha meno consapevolezza dei rischi a cui potrebbe andare incontro», spiega Raffaele Fabozzi, professore di Diritto del lavoro all’università Luiss. «Per questo è fondamentale che venga fatta formazione anche prima di entrare in azienda. Che i Pcto siano coerenti con i reali interessi e le inclinazioni dello studente. Che le imprese selezionate siano certificate. Che l’attività venga costantemente monitorata sia dal tutor aziendale sia da quello scolastico».
Mentre quello che succede troppe volte durante l’alternanza scuola-lavoro è lo sfruttamento di manodopera. «L’ho vissuto sulla mia pelle», racconta Mattia Boselli, studente al quinto anno di un istituto tecnico industriale in provincia di Parma, che ha da poco concluso il suo percorso in un laboratorio chimico di analisi. «In poche parole, ho lavorato senza essere stato pagato. Per il 95 per cento del tempo ho svolto mansioni lunghe e ripetitive, utili all’azienda, mentre la parte di formazione è stata quasi nulla. In più, nel mio caso le condizioni di sicurezza erano buone ma parlando con altri ragazzi, visto che sono rappresentante di istituto, ho capito che non per tutti è stato così». Secondo Boselli l’esperienza sarebbe stata molto più formativa e sicura se la scuola avesse avuto attrezzature e laboratori a disposizione degli studenti. «Così avrei potuto mettere in pratica le conoscenze apprese in classe, procedere per tentativi e sbagliare. Fuori dall’ottica del profitto che regola l’azienda».
Invece, i soldi per la scuola sono sempre meno. Tagli e mancati investimenti che incidono su spazi e strumenti che gli istituti possono offrire. Con ricadute negative sull’impegno e la voglia di fare del personale docente. «L’aumento delle spese militari rischia di pesare sulle risorse che il nostro Paese dedica all’istruzione, che sono già al di sotto della media europea. Mentre, dall’altro lato, i fondi che negli ultimi anni sono stati dedicati ai Pcto hanno rafforzato un modello di scuola sempre più nelle mani dei privati, che piega la formazione ai loro interessi», sottolinea Lorenzo Lang del Fronte della gioventù comunista.
Per Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil scuola, «i Pcto rappresentano un problema proprio per come sono stati concepiti. Perché la loro obbligatorietà porta le scuole a rincorrere le aziende e non a selezionarle con cura, per la qualità. Imprese che non sono capaci di fare formazione ai dipendenti possono accogliere gli studenti? In più, ogni professione dovrebbe richiedere un tipo di formazione diversa, con specifiche e durata proprie, mentre i Pcto, così come sono ora, perdono la loro natura che dovrebbe essere didattica e diventano maschere per rapporti di lavoro subordinato o parasubordinato gratuito». Perché è un pessimo inizio formare i giovani per un lavoro, non pagandoli per nulla. E destinandoli a compiti che hanno poco a che fare con l’apprendimento e molto con le necessità delle aziende.
Così la pensa anche Federico Bernardini, presidente della consulta di Torino. «Gli studenti continuano a rischiare la vita in luoghi di lavoro non sicuri dove invece dell’apprendimento viene favorito lo sfruttamento. Noi lo stiamo dicendo ma il problema è che nessuno ci ascolta: le istituzioni continuano a rinviare il confronto con gli studenti. L’unico che ci considera è il ministero dell’Interno». Bernardini conclude con una battuta amara, riferendosi al fatto che la Digos di Torino sta dando esecuzione a undici misure cautelari nei confronti dei partecipanti alla manifestazione contro Confindustria dello scorso 18 febbraio. «Ci hanno detto bravi quando siamo scesi in piazza per chiedere più sicurezza ma appena abbiamo alzato la voce è iniziata la repressione», dice Cristian Morgante, lo studente dell’IIS Pirelli di Roma che era stato sospeso per 16 giorni dopo l’occupazione della scuola. «È davvero brutto che alla fine rimanga sempre tutto com’era». Eppure, nonostante il rifiuto da parte delle istituzioni di aprire un dialogo costruttivo, gli studenti non si scoraggiano e continuano a fare la loro parte rivendicando una crescita economica del Paese più sostenibile, inclusiva e dignitosa. A partire dalla scuola.