Intervista

Parla la fonte di Football Leaks: «Mi processano perché il calcio è intoccabile»  

di Rafael Buschmann e Christoph Winterbach - a cura di V. Malagutti   20 dicembre 2019

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La giustizia portoghese ha «paura di quello che so», dice Rui Pinto, in carcere da nove mesi a Lisbona, dopo che le sue rivelazioni hanno svelato reati e malaffare nel mondo del pallone. Dall'evasione fiscale di Cristiano Ronaldo e Mourinho alle sponsorizzazioni gonfiate del Manchester City

Rui Pinto, il giovane portoghese appassionato di computer che ha scatenato la tempesta di Football Leaks ha trascorso gli ultimi nove mesi nella cella di una prigione di Lisbona. In questa intervista concessa a Der Spiegel e condivisa con L’Espresso e gli altri giornali del consorzio Eic (European Investigative collaborations), Pinto, 31 anni, per la prima volta parla delle accuse contro di lui e dei lunghi mesi passati in attesa di un processo che non comincerà prima di alcune settimane.

A partire dal 2016, le rivelazioni di Football Leaks hanno alzato il velo sul sistema che ha consentito ad alcune star internazionali del pallone di spostare in paradisi fiscali parte dei loro guadagni evitando così di pagare tasse per milioni di euro. Grazie alle scoperte di Pinto, sono stati processati e condannati campioni come Cristiano Ronaldo, che ha evitato 23 mesi di carcere pagando una supermulta di 19 milioni di euro, Jose Mourinho (2 milioni di multa per evitare un anno di prigione), e poi Radamel Falcao e Angel Di Maria. Ed è ancora Footbal Leaks che ha permesso di ricostruire il sistema con cui il Mancherster City è riuscito ad aggirare le regole Uefa sul financial fair play grazie a contratti di sponsorizzazione pagati da sponsor di Abu Dhabi.
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Pinto ha fornito a Der Spiegel oltre 70 milioni di documenti, che il giornale tedesco ha analizzato insieme ai suoi partner del consorzio EIC, tra cui L’Espresso. I documenti sono stati la fonte di oltre 1.000 articoli, molti dei quali hanno avviato procedimenti giudiziari. Finora, però, Pinto è l'unica persona ad essere stata messa in prigione a seguito di queste rivelazioni.

Il giovane portoghese, grande appassionato di calcio e di computer, è stato arrestato a Budapest lo scorso gennaio e poi estradato nel suo Paese in marzo. Il procuratore nazionale di Lisbona contesta a Pinto un totale di 147 episodi criminosi, tra cui tentativi di estorsione, hackeraggio e violazione del segreto della corrispondenza. L’inchiesta è nata dalla denuncia di Doyen, la grande agenzia di marketing sportivo, e dal dirigente di questa società, Nelio Lucas. Nel 2015 Pinto aveva contattato Lucas chiedendo una grossa somma di denaro per non pubblicare su Internet decine di documenti sensibili sugli affari di Doyen. Dopo aver contattato la polizia, Lucas, a quanto risulta, ha avviato un negoziato, ma Pinto si è ritirato prima della conclusione di qualsiasi accordo, senza mai ricevere denaro.

Negli anni scorsi Doyen ha gestito affari per milioni di dollari nel mondo del calcio anche mediante società con base in paradisi fiscali. La scorsa estate la magistratura spagnola ha aperto un’inchiesta su Doyen per frode fiscale e riciclaggio di denaro.

Solo mercoledì 18 dicembre, due giorni dopo aver rilasciato questa intervista e a ben nove mesi di distanza dall’arresto di Pinto, si è svolta la prima udienza preliminare. Le parti hanno affrontato soprattutto questioni procedurali. Nella sostanza però all’informatico portoghese, che ha sempre negato di essere un hacker, non verrà riconosciuto lo status di whistleblower, cioè un informatore che ha consentito alle autorità di accedere a informazioni di rilevante interesse pubblico, mettendo a rischio la sua incolumità personale. Le autorità portoghesi non sembrano al momento intenzionate a rivedere la loro posizione anche se grazie alle rivelazioni di Pinto la magistratura di diversi Paesi europei, come Francia, Belgio, Spagna, Svizzera hanno avviato inchieste penali che nell’ambito dell‘Unione Europea verranno coordinate attraverso la piattaforma comune Eurojust. Niente da fare, per i pm di Lisbona l’uomo di Football Leaks resta un’hacker, un criminale.
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Avresti mai pensato di poter finire in prigione per Football Leaks?
Ero consapevole che sarebbe potuto succedere di tutto. Sapevo che le autorità portoghesi non tutelano i whistleblower, quindi dovevo essere preparato ad affrontare la situazione.

Come vieni trattato in carcere?
Non ho davvero motivo di lamentarmi. Le guardie sono gentili. Parlo molto con loro. Mi dicono che non dovrei essere in carcere e che il Portogallo avrebbe bisogno di più persone come me, persone disposte a combattere la corruzione e i conflitti di interesse.

Sei stato tenuto in isolamento per più di sei mesi. Ora hai contatti con altri detenuti?
Sì, da ottobre sono stato trasferito in una zona del carcere in cui i detenuti possono svolgere alcune attività: cucinano, fanno il bucato, gestiscono persino un piccolo negozio. Posso lasciare la mia cella e passare del tempo con loro, però non mi è consentito lavorare e su ordine specifico della direzione non neppure ho accesso al cortile del carcere.

Come hai passato il tempo quando eri in isolamento?
Potevo muovermi tra la mia cella e un cortile molto piccolo. Mi sono tenuto in esercizio, ho letto molto e ho scritto sul mio quaderno.

Dal punto di vista mentale come hai reagito all’isolamento?
All'inizio è stato molto difficile. L’essere umano ha bisogno di contatti con le altre persone. Ma ho dovuto accettare la situazione e adattarmi. È stato molto importante per me rimanere concentrato.

Concentrato su che cosa?
Le autorità portoghesi hanno paura di quello che so ed è per questo che è fondamentale non perdere la testa. All'inizio avevo un taccuino su cui annotavo alcune riflessioni sul mio caso giudiziario, ma poi me lo hanno sequestrato. Il mio avvocato era presente quando hanno perquisito la mia cella e ha detto che era illegale sottrarmi gli appunti. Le guardie non c’entrano. È stata un’iniziativa dei pubblici ministeri. Fanno tutto quello che vogliono. È passato un mese prima che mi restituissero il quaderno.

Visto quello che ti è successo, valeva la pena fare quello che hai fatto?
I risultati non sono mancati. Superstar del calcio come José Mourinho, Cristiano Ronaldo, Radamel Falcao e Ángel Di María sono stati condannati per evasione fiscale. In Spagna è stato aperto un procedimento penale contro Doyen (la grande agenzia di marketing sportivo, ndr) e Nelio Lucas (dirigente di Doyen, ndr). Sono state avviate inchieste giudiziarie in Belgio e in Francia. Ci vuole ancora tempo per giudicare se ne è valsa la pena.

Pensi che le tue rivelazioni siano riuscite in qualche modo a migliorare il mondo del calcio?
L'anno scorso, Der Spiegel e il consorzio giornalistico Eic hanno rivelato come i grandi club in Europa stessero collaborando per creare una Super League riservata a loro. Tutti hanno subito smentito. E adesso date un’occhiata alle ultime notizie: Florentino Perez, presidente del Real Madrid, sta cercando di lanciare una nuova associazione internazionale di club in alternativa all’UEFA e all'ECA (la Lega calcio europea). Vogliono creare la Super League. Vanno avanti da anni con le stesse vecchie schifezze. Non la smettono mai. Ai tifosi interessa solo che la loro squadra vinca. Nient’altro è importante per loro, anche se sanno degli illeciti e capiscono che l’intero sistema è malato. Io non posso certo combattere contro tutto questo. Il calcio è intoccabile. E le autorità lo proteggono per il suo grande peso politico.

In pratica che cosa succede?
Prendiamo il caso del Benfica, la squadra più popolare del Portogallo, che è come una piovra con tentacoli in tuti i centri di potere del Paese: polizia, magistrati, politici, a cui offre e regolarmente biglietti VIP gratuiti per le partite. Se mai si dovesse indagare seriamente sul Benfica verrebbero a galla enormi conflitti d’interesse.

Il processo dovrebbe iniziare nelle prime settimane del prossimo anno. Per quale motivo devi restare in carcere fino ad allora?
Non ha senso. È irragionevole e ingiusto. Ho chiesto al giudice il permesso di tornare a casa fino all'avvio del processo, ma il pubblico ministero ha insistito sul rischio che io potessi interferire con le indagini, e che avrei potuto svolgere attività illecite insieme a potenze straniere. È ridicolo.

A chi si riferisce il procuratore?
Immagino che intenda i magistrati di altri Paesi che sono disposti a collaborare con me e a lavorare con i dati che ho raccolto per indagare sui crimini nel mondo del calcio. Non è incredibile? In Portogallo, non solo vengono criminalizzati gli informatori, ma anche chi cerca di proteggerli.

Le autorità portoghesi non hanno interesse a collaborare con te?
Il pubblico ministero mi ha detto che l'unica collaborazione che si aspetta da me è quella di non oppormi alla mia incriminazione. Non vogliono usare i dati che ho raccolto, che contengono molte prove di crimini commessi da persone potenti nel mondo del calcio. Ho rivelato illeciti nell'interesse del bene comune. Ma l'unico che viene perseguito sono io, l'informatore. Mi descrivono come un pericolo per la sicurezza pubblica.

Hai qualcosa da rimproverarti?
È stato un errore interpellare Doyen nel 2015. All'epoca ero ingenuo e ho sbagliato a mettermi in contatto con loro. Le autorità sostengono che è stato un tentativo di estorsione e stanno usando questa accusa per tenermi in prigione. Io sostengo di non aver commesso alcun crimine. Mi sono avvicinato a loro per farmi un’idea dell’importanza delle informazioni che ho raccolto. Non ho mai avuto intenzione di farmi pagare.

La tentata estorsione non è l’unica accusa. I pubblici ministeri vogliono processarti per un totale di 147 episodi criminosi, per hackeraggio informatico e violazione delle norme sulla segretezza della corrispondenza.
Mi rendo conto che in apparenza i reati sono tantissimi e che probabilmente verrò processato per crimini che non ho commesso. Ma devo sottolineare che l'intera indagine è stata condotta in modo tutt’altro che imparziale e presenta enormi difetti. Per esempio, l'accesso ai server dello studio legale PLMJ (un grande studio legale portoghese, ndr) dovrebbe essere considerato come un solo crimine. Invece, i magistrati mi hanno addebitato un reato per ogni singolo indirizzo e-mail violato, per un totale di oltre 70 accuse. È molto strano.

Ma hanno ragione ad accusarti dell’accesso illegale al server?
Ne discuterò in tribunale. È prematuro parlarne adesso.

Questa tua dichiarazione fa pensare che alla fine potresti ammettere di aver violato quei computer, nonostante tu abbia sempre negato di essere un hacker.
Mi rendo pienamente conto che, secondo la legge portoghese, alcuni dei miei comportamenti possano essere considerati illegali e ne parlerò al processo. Ritengo però che molti atti che mi vengono addebitati non configurino una violazione della legge. E non mi considero un hacker.

Cosa è per te un hacker, allora?
Per me, hacking significa forzare un sistema informatico e usarlo a proprio vantaggio. Io non mai fatto nulla di simile.

Ma l'accusa afferma che sul tuo laptop è stato trovato un software di hacking.
È vero, ma prima di tutto, quel computer non è stato usato solo da me. In secondo luogo, solo perché il software è lì non significa che io l’abbia effettivamente utilizzato. E terzo, l'accusa non dice mai che qualcuno di questi programmi sia stato utilizzato per accedere ai dati.

Non solo hai sempre affermato di non essere un hacker, ma anche di non agire da solo. Tuttavia, dopo il tuo arresto, le rivelazioni di Football Leaks si sono esaurite. Che cosa è successo ai tuoi presunti compagni?
Bisogna essere pazienti. È vero che io ero il volto del progetto, ma vedremo cosa succederà nel prossimo futuro.

Nel tuo appartamento di Budapest, le autorità sono riuscite a sequestrare più di una dozzina di dispositivi di archiviazione dei dati. Alcuni dischi rigidi non erano nemmeno crittografati. Pensi di essere stato imprudente?
Uno di quei dischi in verità era rotto. Un secondo era stato creato a Sarajevo da un'altra persona e purtroppo a quel tempo era nel mio appartamento, perché ci stavo lavorando per fare delle copie.

Il disco rigido del computer conteneva dati raccolti da qualcun altro?
Lo ripeto: le autorità mi attribuiscono molti crimini che non ho commesso. Ma non farò la spia.

Come pensi che andrà a finire il tuo processo?
Dubito che avrò un processo equo. Prevedo che alla fine questo caso sarà giudicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, perché al Portogallo non importa un accidente della protezione degli informatori.

Hai paura di qualcosa?
No, non ho paura.

Noi ti consideriamo un whistleblower per la grande rilevanza pubblica delle informazioni che hai raccolto mettendo a rischio la tua incolumità personale. Altri invece, per esempio i pubblici ministeri, ti vedono solo come un criminale. Come rispondi a chi ti accusa?
Rispetto tutte le opinioni. Se un giornalista scrive che sono un criminale, non mi lamento. C’è la libertà di stampa. L'unica cosa che chiedo è un dibattito onesto su ciò che è venuto a galla grazie a Football Leaks. E finora su questo non c’è stata una discussione equa, perché per il momento il dibattito si concentra solo su di me come persona, e non sulle illegalità che ho scoperto.

Alla fine del 2018, hai deciso di uscire dalla clandestinità e di collaborare con le autorità francesi come informatore. Ti hanno offerto la possibilità di aderire a un programma di protezione dei testimoni in modo da poter contribuire alle loro indagini sui crimini nel mondo del calcio. Quell'offerta è ancora sul tavolo?
Avevo programmato di trasferirmi a Parigi entro la fine dello scorso gennaio. Qualche giorno prima di partire sono stato arrestato. Da allora non ho più avuto contatti con le autorità francesi.

Saresti ancora disposto a collaborare con i pubblici ministeri?
Sì, certo. È una possibilità che ancora prendo in considerazione. Ma non lo farò mentre sono rinchiuso qui. Non è giusto.

Mesi fa, Eurojust, un'agenzia dell'UE che facilita la cooperazione tra pubblici ministeri, ha avviato un'indagine congiunta sul mondo del calcio in base ai tuoi dati. I procuratori di nove paesi hanno dichiarato il loro interesse a lavorare insieme. Ti aspettavi più supporto da loro?
Sì, mi aspettavo molto più aiuto. So che Eurojust è una struttura fortemente burocratizzata, ma non mi sento abbastanza rispettato. Volevano che collaborassi senza darmi nulla in cambio. Se il Portogallo mi condannasse a 25 anni di prigione, Eurojust direbbe semplicemente: Ok, peccato. Vogliamo comunque i tuoi dati.

I pubblici ministeri francesi hanno ricevuto da te 27 terabyte di dati. Sono anche in grado di accedervi?
È tutto crittografato e io sono l'unico con le password, memorizzate nella mia testa.

Senti ancora l'impulso di lottare contro le ingiustizie e il malaffare nel mondo del calcio?
Sì, certo. Un giorno uscirò di prigione, e allora terrò conferenze e scriverò articoli. C’è bisogno di più regole, la Commissione europea dovrebbe intervenire. Solo quest'anno il business del calcio è stato inserito dall’Unione europea nella lista delle attività sotto controllo per il riciclaggio di denaro. C'è molto da fare.

Guardi ancora le partite di calcio in prigione?
È difficile perché possiamo accedere solo a pochi canali tv, quindi non possiamo vedere molte partite. Di solito le seguo alla radio.

Dopo tutto quello che è successo ti appassiona ancora il calcio?
Sì, certo! È il gioco più bello del mondo. Disprezzo solo il malaffare che lo circonda.

Come sarà il Natale in prigione?
Sarà dura. Non solo per me, ma per tutti qui. Di certo io e gli altri detenuti cercheremo di divertirci e di dimenticare per un po' la triste realtà. Certo, preferirei passare il Natale con i miei cari. Tuttavia, a volte, bisogna fare sacrifici.
 
(a cura di Vittorio Malagutti)