Il caso

La Francia ha fatto sparire le prove sul caso di Daniel Radosavljevic, l'italiano morto in un carcere Oltralpe

di Simone Alliva   4 aprile 2024

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Il lenzuolo scomparso, gli abiti macchiati di sangue, la dinamica. L’indagine sul ventenne trovato impiccato nel penitenziario di Grasse, è chiusa. Ma niente torna

Contraddizioni, misteri, anomalie, orrori. A distanza di un anno la morte di Daniel Radosavljevic, il cittadino italiano di 20 anni trovato impiccato nel carcere francese di Grasse, in Costa Azzurra, è un pozzo senza fondo. Come L’Espresso (n°5, 5 febbraio 2023) aveva denunciato da subito. Ora l’indagine francese è stata chiusa e racconta una storia dove nulla torna al suo posto. Zoppicano le ricostruzioni fornite dalle autorità francesi e soprattutto spariscono le prove. Nella relazione, esaminata da L’Espresso, mancano il lenzuolo usato come cappio, i vestiti macchiati di sangue. Mancano soprattutto le registrazioni delle videocamere di sorveglianza. Cosa sia successo a Daniel in quelle ore, tra le decine e decine di agenti, pubblici ufficiali e dirigenti, medici, infermieri e portantini che hanno disposto del suo corpo, non lo sappiamo. Dalle carte non risulta. «Non è possibile che Daniel si sia suicidato», è la convinzione della madre Branka Mikenkovic.

 

È l’8 ottobre del 2023 quando Daniel viene arrestato a Grasse, dopo un inseguimento dovuto al mancato rispetto di un ordine di fermata a un posto di blocco della gendarmeria nei pressi della città al Sud della Francia. Daniel, che ha un passato di reati contro il patrimonio commessi da minorenne ma nessuna condanna da maggiorenne, viene messo in custodia. Le accuse: inottemperanza all’alt e tentato omicidio per avere forzato il posto di blocco. Una ricostruzione contestata subito dall’indagato. Daniel scrive lettere e comunica con l’Italia. «La mia famiglia non è qui ma a casa, mi sta aspettando», dice a compagni e personale. Il 15 gennaio successivo chiama per l’ultima volta la madre: notizie sui suoi cari e sui programmi per il futuro. Fiducia sul ritorno, speranza di poter riabbracciare le persone che ama: la madre, sua sorella Iris e suo fratello Braian. Manca poco al termine della custodia preventiva, la promessa del suo difensore francese regala la possibilità di ricostruirsi una nuova vita. Tre giorni dopo, il cellulare della madre squilla di nuovo. È la direzione del carcere: Daniel è morto in mattinata. «Si è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento».

 

Una versione che non trova conferma nelle voci dei detenuti riprese da L’Espresso che, attraverso un cellulare clandestino, suggeriscono un finale diverso. Daniel è morto mentre era nelle strutture di uno Stato straniero. Era stato picchiato dalle guardie. «Come?». «Normalmente», rispondono i detenuti, quasi a implicare che ci sia una “giusta quantità” di abusi che una persona può subire da parte di esponenti di uno Stato democratico. «Non ha appeso un lenzuolo alla finestra. A tre metri d’altezza? Impossibile», ripetono. Dalla relazione si possono vedere le foto della cella di Daniel. Secondo gli inquirenti francesi, il ragazzo italiano avrebbe annodato le lenzuola alla fessura di una finestrella minuscola posta a pochi metri da un lavabo. Poi avrebbe formato un cappio e si sarebbe impiccato.

 

 

Ma il colpo d’occhio è proprio sulla fessura: troppo stretta per far passare con facilità un lenzuolo. E poi il lavabo a un’altezza così irrisoria, gli spasmi e le convulsioni avrebbero costretto Daniel a poggiare i piedi e quindi a salvarsi. La finestrella, inoltre, difficilmente potrebbe reggere al peso di un corpo. Impossibile però fare degli esami. Non solo è sparito il drappo con cui il giovane si sarebbe impiccato, ma non risultano provvedimenti di sequestri. L’indagine francese non ha fornito la metrica dell’impiccagione né la dimensione della cella. Un’impiccagione atipica, dicono i medici legali di Grasse. Quelli italiani non si pronunciano proprio perché mancano i dati, hanno solo individuato come causa di morte l’asfissia.

 

E ci sarebbero poi le immagini del corpo del ragazzo a restituire una dinamica insolita. Le autorità francesi affermano di aver effettuato le manovre di rianimazione nel corridoio; eppure, nelle foto visionate da L’Espresso il corpo è ancora dentro la cella. Se sono state scattate dopo l’intervento di soccorso perché riportarlo in cella? I vestiti, anche questi scomparsi, riportano macchie di sangue che non possono essere di Daniel. Ma sono spariti. Assieme alle registrazioni delle telecamere. L’indagine non ha tenuto conto di nove detenuti che mancano all’appello tra le testimonianze. Resta quella di Saad, che ha conosciuto in carcere il ventenne e negli ultimi mesi ha fatto di tutto per raccontare la sua versione: «Ho appreso della morte di Daniel dopo l’ora d’aria. Tutti nel blocco A sapevamo che il sergente Sebastien aveva detto a questi tre agenti di massacrare il ragazzo non appena sarebbe rientrato in cella. Appena abbiamo saputo della morte di Daniel abbiamo insultato lui, la direttrice Angélique Leveque. All’agente gli ho dato del figlio di puttana. “Lo hai ammazzato. Non hai un cuore. Non hai pensato che anche lui ha una famiglia. Figlio di puttana. Lo dirai tu a sua madre”. Non mi pento di averglielo detto». Saad è stato minacciato e poi trasferito per la sua incolumità in un altro carcere.

 

In Italia, dopo il lavoro de L’Espresso, Luigi Manconi, ex senatore e già presidente della Commissione straordinaria per la promozione e la tutela dei diritti umani, ha chiesto attenzione sul caso. In Parlamento la deputata Laura Boldrini ha presentato un’interrogazione al ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Ma il governo non ha mai risposto, né commentato la vicenda. Così come in Francia nessun dibattito, nessuna protesta o promessa: silenzio assoluto.