Politica
10 novembre, 2025La strategia dei centri per migranti al di là dell'Adriatico rischia oggi di trasformarsi in un boomerang proprio nel momento in cui la presidente del Consiglio è chiamata a guidare la maggioranza nel referendum sulla separazione delle carriere
Da Palazzo Chigi filtra un nervosismo palpabile. La strategia dei centri migranti in Albania, pensata come fiore all’occhiello della politica migratoria di Giorgia Meloni, rischia oggi di trasformarsi in un boomerang proprio nel momento in cui la premier è chiamata a guidare la maggioranza nel referendum sulla separazione delle carriere.
L’idea era ambiziosa: accelerare i trasferimenti, controllare i flussi e dimostrare efficacia nella gestione dell’immigrazione. Ma, dietro le quinte, i problemi non sono mancati. Tribunali italiani hanno fermato trasferimenti, giudicando l’Albania non sufficientemente sicura. E, in queste settimane, fonti interne segnalano che la Corte dei Conti sta esaminando i costi e la gestione, con il rischio di aprire una verifica per danno erariale.
“Se questo dossier dovesse diventare pubblico nel momento sbagliato, ovvero nel pieno della campagna elettorale per il referendum sulla separazione delle carriere, potrebbe cambiare il sentiment dell’opinione pubblica”, ammettono fonti di Palazzo Chigi. E il momento, avvertono, è delicato: la campagna referendaria sulla separazione delle carriere entra nelle settimane decisive, e ogni frattura percepita nella gestione governativa può tradursi in voti persi e quindi mettere a repentaglio la vittoria referendaria con inevitabili ripercussione sulla tenuta del governo stesso.
Dietro le porte chiuse dei corridoi di Roma, la discussione è serrata. Si valutano correttivi: ridurre la funzione dei centri albanesi ai soli rimpatri, ridisegnare protocolli, rafforzare la narrativa comunicativa sul “modello innovativo” dei centri. Tutto mentre l’opposizione prepara dossier e dichiarazioni pronte a trasformare ogni esitazione in un argomento contro il governo.
La posta in gioco, spiegano i consiglieri della premier, non è solo politica: è reputazionale. L’effetto domino, se i media e l’opinione pubblica percepiscono errori o sprechi, potrebbe investire non solo la gestione dei migranti, ma l’intera credibilità dell’esecutivo. Una partita che si gioca su più fronti, tra uffici, tribunali e microfoni.
E mentre la maggioranza cerca di chiudere le crepe, tra i corridoi si parla di tensioni interne: ogni ritardo, ogni ostacolo giudiziario diventa un pretesto per opposizioni e media di enfatizzare criticità e rischi. Palazzo Chigi sa che deve muoversi con cautela, perché nel gioco dei retroscena politici anche un dossier apparentemente tecnico può trasformarsi in una bomba mediatica.
In queste ore, la sensazione è di una squadra che corre contro il tempo: il governo deve dimostrare efficacia senza concedere alibi, raccontare l’innovazione senza incappare in errori percepiti, e mantenere saldo il consenso mentre il referendum incombe. Ogni scelta, ogni comunicato, ogni dettaglio dei centri in Albania viene studiato con attenzione maniacale, perché in politica nulla è davvero marginale.
Il dossier Albania, pensato come simbolo di controllo e innovazione, si trova oggi al crocevia: se gestito male, potrebbe minare il messaggio politico del governo; se gestito con cura, diventare un esempio di efficienza. E tra le mura di Palazzo Chigi, la tensione cresce: ogni decisione pesa come un mattone sul futuro della strategia di Giorgia Meloni.
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