L'emergenza Covid 19 evidenzia, ancora una volta, come in Italia comandano solo gli uomini. Da Palazzo Chigi alle Regioni, dai comitati scientifici alle task force, lo spread tra i generi è impressionante
L'ultimo maschio arruolato dalla truppa al comando è stato Vittorio Colao, il nuovo capo della task force per la ricostruzione. Un manager bravo, sostengono tutti. L'ha scelto Giuseppe Conte.
Poteva preferirgli una donna? Impossibile. Perché in Italia l'emergenza coronavirus – come sui campi di battaglia – pare debba essere combattuta esclusivamente da generali uomini.
Anche stavolta la Storia la vogliono fare loro. Possibilmente da soli. Nell'evento epocale che stiamo vivendo non c'è nessuna dama a decidere alcunché. In politica, nei dicasteri, nelle stanze dei bottoni, chi comanda indossa cravatta o grisaglia.
Riguardando le immagini già «iconiche», le trasmissioni già «storiche», i discorsi più o meno memorabili da Palazzo Chigi, dal Quirinale o Piazza San Pietro, è chiaro che rischiano di finire negli annali della solo maschi.
Il comandante della crisi è l'avvocato Conte, naturalmente. La sua comunicazione, piacca o meno, la dirige Rocco Casalino. I “decreti Covid” che decidono le nostre vite e il nostro futuro li imposta Ermanno De Francisco. Leggi su cui mettono bocca pochi uomini: Roberto Gualtieri, il ministro che ci rappresenta anche sui tavoli economici in Europa, il titolare della Salute Roberto Speranza, quello del Mise Stefano Patuanelli. Oltre a loro, naturalmente, suggeriscono anche Di Maio e Franceschini. E Mattarella insieme al suo staff, fatto da soli uomini.
Per un accidente della Cronaca, maschio è lo storico Paziente 1. Maschio pure il primo politico positivo, Nicola Zingaretti. Talk show, conferenze stampa e interviste a raffica raccontano incontrovertibilmente chi gestisce l'emergenza nei territori: in Lombardia la crisi è cosa di Attilio Fontana (che ha ridato i galloni all'esperto Guido Bertolaso) e dell'assessore ormai star tv Giulio Gallera. Scorrendo i nomi dei politici e dei dirigenti sanitari, sono uomini tutti i protagonisti del disastrato “modello lombardo”.
Contrapposto a quello virtuoso del Veneto, guidato da Luca Zaia, «il leghista bravo». Che deve le sue fortune al virologo Andrea Crisanti, capo dell'Unità di Microbiologia a Padova, e ai capaci (così dicono) dirigenti sanitari regionali. Tutti maschi, ca va san dire.
Ma non è stata scelta neanche una donna tra i capi delle task force scelte dal governo. Sono quelli che dovrebbero risolver problemi: di Colao abbiamo detto, mentre Angelo Borrelli guida la Protezione civile, e Domenico Arcuri è nuovo commissario all'Emergenza.
Incredibilmente, tutti (proprio tutti) gli scienziati che suggeriscono contromosse e che si alternano alla conferenza delle 18 appartengono al sesso forte: da Walter Ricciardi a Giovanni Rezza, da Silvio Brusaferro a Ranieri Guerra. Uomini pure i leader dello Spallanzani, del Sacco, del Pascale, del Cotugno, le cui facce ormai familiari verranno ricordate nei documentari.
Se le voci inconfondibili di Franco Locatelli e di Massimo Galli fanno ormai parte della narrazione della Tragedia, c'è il rischio concreto che nemmeno un volto femminile finirà nell'immaginario collettivo della Grande Epidemia. A parte, forse, quello di Susanna Di Pietro, l'interprete della lingua dei segni.
Nulla di nuovo, si dirà: in Italia lo spread tra generi all'interno della classe dirigente, nel mondo della politica e delle università è fenomeno atavico, e la sovrabbondanza di testosterone nella crisi Covid 19 è solo sintomo di una condizione storica.
Ma visto come gli uomini stanno gestendo la catastrofe, e leggendo ogni giorno delle donne che a migliaia combattono il virus in prima linea, forse è il caso di cambiare strategia. E chiamare subito al comando qualche signora competente. Persino capace, chissà, di cambiare la Storia. In meglio.