Il pm di Roma insiste nelle indagini sull'italiano trovato cadavere in una cella in Costa Azzurra. E i parenti chiedono l'intervento del titolare della giustizia contro silenzi e omissioni delle autorità francesi

Branka Mikenkovic non si arrende al racconto osceno e al sabba di omertà francese che vorrebbe relegare a un suicidio la morte di suo figlio, Daniel Radosavljevic, il cittadino italiano di 20 anni trovato impiccato nel carcere francese di Grasse, in Costa Azzurra il 20 gennaio 2023. Una storia sommersa da ombre, contraddizioni e compromessa dallo scaricabarile tra Francia e Italia dove da più di un anno galleggiano elementi che non trovano un posto: manomessi, nascosti, dispersi. Sono sparite le prove. Nella relazione francese, esaminata da L’Espresso, mancano il lenzuolo usato come cappio, i vestiti macchiati di sangue. Mancano soprattutto le registrazioni delle videocamere di sorveglianza. Cosa sia successo al corpo di Daniel in quelle ore tra le decine e decine di agenti, pubblici ufficiali e dirigenti, medici, infermieri e portantini che hanno disposto del suo corpo, non lo sappiamo. Così la famiglia si appella, tramite l’avvocata Francesca Rupalti, al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Lo ha fatto «con una richiesta di audizione che è stata formalizzata in queste ore, alla quale speriamo segua una pronta risposta», spiega a L’Espresso la legale: «C’è la necessità di stimolare la leale collaborazione investigativa fra Stati dell’Unione, anche in un caso delicato come quello di una morte sospetta di un cittadino italiano all’interno di un carcere francese».

 

Per la Francia, «Daniel si è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento». «Nonostante due giorni prima parlasse di progetti futuri alla madre», racconta l’avvocata. Una versione, questa del suicidio, che non trova conferma nelle voci dei detenuti riprese da L’Espresso che, attraverso un cellulare clandestino, suggeriscono un finale diverso. L’irruzione di una squadra antisommossa nella cella del giovane proprio nel giorno della morte. Prima ancora, i pestaggi. Daniel è morto mentre era nelle strutture di uno Stato straniero. Era stato picchiato dalle guardie. «Come?». «Normalmente», rispondono i detenuti, quasi a implicare che ci sia una “giusta quantità” di abusi che una persona può subire da parte di esponenti di uno Stato democratico. «Non ha appeso un lenzuolo alla finestra. A tre metri d’altezza? Impossibile», ripetono. Dalla relazione si possono vedere le foto della cella di Daniel. Secondo gli inquirenti francesi, il ragazzo italiano avrebbe annodato le lenzuola alla fessura di una finestrella minuscola posta a pochi metri da un lavabo. Poi avrebbe formato un cappio e si sarebbe impiccato. L’Espresso ha analizzato la relazione francese e le foto della cella dopo il ritrovamento del cadavere. Il colpo d’occhio è proprio sulla fessura della finestrella che avrebbe usato Daniel per compiere suicidarsi: troppo stretta per far passare con facilità un lenzuolo. E poi il lavabo a un’altezza così irrisoria, gli spasmi e le convulsioni avrebbero costretto Daniel a poggiare i piedi e quindi a salvarsi. La finestrella, inoltre, difficilmente potrebbe reggere il peso di un corpo. Impossibile però fare degli esami. Non solo è sparito il drappo con cui il giovane si sarebbe impiccato, ma non risultano provvedimenti di sequestro. E ci sarebbero poi le immagini del corpo del ragazzo a restituire una dinamica insolita. Le autorità francesi affermano di aver effettuato le manovre di rianimazione nel corridoio; eppure, nelle foto visionate da L’Espresso il corpo è ancora dentro la cella. Se sono state scattate dopo l’intervento di soccorso perché riportarlo in cella?

 

Ma non solo spiega l’avvocata della famiglia: «Le richieste investigative inoltrate Oltralpe sono state solo parzialmente eseguite, benché lo spazio giudiziario comunitario imponga lo spirito di reciproca collaborazione. Non solo non sono state acquisite le videoregistrazioni di sicurezza né sentiti gli altri detenuti. La ferita che Daniel riportava in testa, in primo luogo ricondotta al prelievo di tessuti necessario per l’esame tossicologico, non è escluso che possa derivare da contusione. Approfondimenti istruttori omessi, già richiesti dal nostro Paese e mai riscontrati dalla Procura di Grasse che invece, sulla base delle citate parzialità, disponeva una frettolosa chiusura dell’inchiesta». Il Tribunale di Roma, che ha la competenza per i delitti commessi all’estero a danno di cittadini italiani, si è interessato dall’inizio alla questione e ha autonomamente chiesto che ci fossero acquisizioni e investigazioni per conto dell’Italia. Sono state disattese. Il pm Erminio Amelio continuerà a chiedere che venga fatta luce sulle indagini, considerando che il procedimento italiano non ha subito chiusure. Anche il console di Nizza, Emilio Lolli, si sarebbe attivato per sentire i magistrati francesi. Dopo il lavoro de L’Espresso, Luigi Manconi, ex senatore e già presidente della commissione straordinaria per la promozione e la tutela dei Diritti umani, ha chiesto attenzione sul caso. In Parlamento la deputata Laura Boldrini ha presentato un’interrogazione al ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Un silenzio lungo un anno che ha trasformato il caso in una questione politica a tutti gli effetti che difficilmente il ministero della Giustizia italiano potrà ignorare. Una morte piena di misteri che indica ancora una volta il vicolo cieco e sistematico dei rapporti tra l’Italia e la Francia sui detenuti italiani che scontano pene Oltralpe.

 

Nello stesso penitenziario di Grasse nel 2013 morì un altro italiano Claudio Faraldi, 29 anni, di Ventimiglia, solo in una cella, in circostanze ancora non del tutto chiarite. Prima ancora, nel 2010, la morte di un altro italiano, Daniele Franceschi, anche lui in circostanze mai del tutto chiarite e riconsegnato all’Italia senza organi. La richiesta di verità sulla morte di Daniel in Italia è vento che sale. Lettere, mail, telefonate, messaggi. Sono state centinaia le reazioni social che sollevano una grande richiesta: #GiustiziaPerDany. Lo Stato tutela dalle ingiustizie e dai soprusi, non li esercita. Dovrebbe essere un fondamentale per qualsiasi Paese dell’Unione europea.