Era già uscito dal carcere nel 2021, ma in libertà vigilata dopo aver collaborato con la giustizia. Responsabile di oltre 100 delitti, è anche il mandante dell’omicidio di Giuseppe Di Matteo

Torna libero Giovanni Brusca, l'ex boss di Cosa Nostra che ha azionato il telecomando nella strage di Capaci

È stato colui che ha fisicamente azionato il telecomando della strage di Capaci. È stato il mandante dell’omicidio di Giuseppe Di Matteo – il tredicenne strangolato e poi sciolto nell’acido, figlio del pentito Santino Di Matteo –. Infine, è diventato collaboratore di giustizia, dopo un primo falso pentimento. Da qualche giorno Giovanni Brusca è a tutti gli effetti un uomo libero, dopo essere uscito dal carcere già nel 2021, ma in libertà vigilata. Tra l’altro, durante la sua collaborazione con la giustizia, è stato difeso da Luigi Li Gotti, l’avvocato tornato al centro delle cronache per aver presentato una denuncia al tribunale dei ministri contro Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi per il caso Almasri.

 

Di anni dietro le sbarre, Brusca ne ha passati 25. Uno dei più sanguinari boss di Cosa Nostra, continuerà a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità. Arrestato a maggio del 1996 nel suo villino sul mare a Cannatello, in provincia di Agrigento, non ha mai saputo rispondere sul numero di vittime di cui è responsabile: “Sicuramente più di 100 ma sicuramente meno di 200”, ha sempre ripetuto. Tra l'altro, è stato arrestato mentre guardava con i fratelli il film “Giovanni Falcone” di Giuseppe Ferrara trasmesso da Canale 5" Nel 1983 si è occupato di preparare l’autobomba che ucciderà il giudice Rocco Chinnici - una sorta di battesimo per Brusca - ma ha fatto anche parte del gruppo che nel 1992 fredderà il parlamentare democristiano Salvo Lima, referente di Giulio Andreotti in Sicilia, fatto fuori dopo la pronuncia della Cassazione che metteva un punto definitivo sul maxiprocesso. Figlio di Bernardo Brusca, storico boss di San Giuseppe Jato, è uno dei pochi sopravvissuti alla “seconda guerra di mafia” in cui Totò Riina si è preso Cosa Nostra, lasciandosi dietro una lunghissima scia di sangue.

 

“Mi sono chiesto tante volte cosa significa chiedere perdono per la morte del piccolo Di Matteo. Non lo so. Mi accusano spesso di non mostrare esternamente il mio pentimento, ma io so che per un omicidio come questo non c'è perdono”, si racconta nel libro "Uno così, Giovanni Brusca si racconta" di don Marcello Cozzi. “Il paradosso – ricorda nel 2021, quando tra le polemiche uscì dal carcere in libertà vigilata – è che questa libertà me l’ha donata il magistrato che ho ucciso, Giovanni Falcone”. Il riferimento è alla legge sui collaboratori di giustizia ispirata proprio da Falcone e che negli anni, da Tommaso Buscetta in poi, si è rivelata uno strumento preziosissimo per la lotta alla criminalità organizzata e che per questo ha fatto scuola in tutto il mondo.

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