I big del calcio evadono milioni ma in arresto finisce l'hacker che ne ha svelato i segreti
Il portoghese Rui Pinto è stato arrestato a Budapest. La sua colpa? Essere la fonte degli scoop sull’evasione fiscale di campioni e grandi club. E grazie alle cui rivelazioni tanti hanno dovuto pagare il dovuto, come Cristiano Ronaldo
È il libro nero del calcio mondiale. S’intitola Football Leaks e racconta le acrobazie fiscali di Cristiano Ronaldo, i dribbling offshore di Leo Messi e famiglia, i pagamenti ai Caraibi per José Mourinho. E poi: il contratto segreto di Paul Pogba, le sponsorizzazioni gonfiate del Manchester City, le manovre di potere intorno a Uefa e Fifa. Se queste vicende, e molte altre ancora, sono ormai note in tutto il mondo e hanno dato il via a numerose indagini penali, il merito è di un giovane tecnico informatico portoghese. Si chiama Rui Pinto, ha 30 anni, e da mercoledì 16 gennaio si trova in stato d’arresto a Budapest, in Ungheria, dove è stato fermato su richiesta della polizia di Lisbona.
È quindi finita sulle rive del Danubio la fuga della gola profonda che ha fatto tremare i burattinai del pallone. Pinto è un whistleblower, un cittadino qualunque, appassionato di sport, che ha violato siti internet e caselle di posta elettronica per raccontare l’altra faccia del calcio, quella che raramente finisce nelle cronache sportive. Un mondo oscuro affollato di finanzieri e banchieri che lucrano sullo sport più popolare al mondo. Affaristi che guadagnano milioni, quasi sempre offshore, muovendo calciatori e sponsor. E anche alcuni campioni, seguendo le direttive di strapagati consulenti, sono riusciti a parcheggiare i loro guadagni all’ombra dei paradisi fiscali. I soldi che alimentano questa giostra miliardaria arrivano - è bene ricordarlo - dalle tasche dei tifosi, quelli che vanno allo stadio e, soprattutto, si abbonano alle piattaforme televisive che trasmettono le partite.
La saga di Football Leaks ha preso il via nel 2014. Documenti e notizie sono dapprima comparsi in Rete a un indirizzo creato ad hoc. Poi, a partire dal 2016, queste rivelazioni sono finite sulle pagine del settimanale tedesco Der Spiegel, che ha infine deciso di condividere le informazioni con altri giornali. È così sceso in campo l’Eic (European Investigative Collaborations), un consorzio di cui fa parte anche L’Espresso in esclusiva per l’Italia. Un’ottantina di giornalisti di 14 Paesi del vecchio Continente hanno potuto analizzare l’enorme banca dati di Football Leaks, che è cresciuta negli anni fino a raggiungere i 3,4 terabytes per oltre 70 milioni di documenti.
La reazione dei potenti del calcio non si è fatta attendere. La caccia all’hacker è partita da Lisbona. Il Benfica, la squadra più titolata del Portogallo, ha denunciato il furto di migliaia di mail. Ed è probabile, ma non c’è nessuna conferma ufficiale, che abbiano sporto denuncia anche altri club e agenti di calciatori citati nei documenti pubblicati negli anni scorsi.
Pinto, accusato di tentata estorsione e violazione di segreto, si trova adesso agli arresti domiciliari nella sua casa di Budapest, dove si era trasferito tempo fa. Sarà un giudice ungherese a decidere della sua eventuale estradizione in Portogallo. A difenderlo in tribunale sarà una squadra di avvocati guidata da William Bourdon, il legale francese che si è guadagnato una notorietà mondiale schierandosi al fianco di famosi whistleblower come Edward Snowden, il tecnico informatico che ha svelato i programmi di sorveglianza di massa del governo Usa e britannico, e Hervé Falciani, che trafugò la lista dei clienti della sede di Ginevra della banca inglese Hsbc. «Il mio cliente è stato a lungo minacciato da chi voleva impedirgli di raccontare la verità», ha denunciato in un comunicato stampa Bourdon, che ha accusato la polizia di Lisbona di aver preso per buone le denunce dei nemici di Pinto, senza svolgere un’indagine autonoma. Secondo il legale francese, l’hacker di Football Leaks rientra in pieno nella categoria dei whistleblowers per cui la legge di molti Paesi, tra cui anche l’Italia, prevede specifiche tutele.
L’aspetto paradossale della vicenda, sottolineato da Bourdon, è che mentre Pinto è stato arrestato su ordine dei giudici portoghesi, altrove in Europa la magistratura ha potuto avviare indagini per evasione fiscale e corruzione proprio grazie alle rivelazioni dell’hacker con la passione del calcio. «C’è il rischio che al mio cliente venga impedito di collaborare alle inchieste in corso», ha denunciato l’avvocato francese in un’intervista al quotidiano di Lisbona, Diario de Noticias.
A favore di Pinto gioca il precedente di un altro famoso whistleblower come Falciani, che ad aprile dell’anno scorso venne arrestato a Madrid, su richiesta dei magistrati svizzeri. Il tribunale spagnolo ha però respinto le richieste di estradizione arrivate da Berna. In quel caso venne riconosciuto il valore pubblico delle informazioni fornite dall’ex consulente della banca Hsbc. Grazie ai dati trafugati da Falciani e poi pubblicati dai giornali di tutto il mondo, le autorità fiscali, anche quelle italiane, sono riuscite a individuare e punire centinaia di evasori fiscali. Un copione simile sta andando in scena in questi mesi per effetto di Football Leaks, che, tra molto altro, ha fornito le prove documentali di passaggi milionari di denaro dai conti di squadre, calciatori e procuratori sportivi verso i paradisi fiscali.
Il sito d’informazione francese Mediapart, che fa parte del consorzio Eic, ha rivelato che quando è stato arrestato Pinto stava già collaborando con il Fisco francese che nel dicembre 2016, grazie alle rivelazioni di Football Leaks, aveva aperto un’inchiesta su tre giocatori argentini, Angel Di Maria, Javier Pastore e Lucho Gonzalez. Quest’ultimo ha giocato nel Marsiglia tra il 2010 e il 2012, mentre i primi due erano compagni di squadra nel Paris Saint Germain (Psg), che da anni domina il campionato transalpino. Di Maria è stato infine scagionato in Francia, ma non è riuscito a cavarsela in Spagna, dove ha evitato un anno di carcere solo pagando una multa di due milioni di euro per due frodi fiscali da 1,3 milioni che risalgono al periodo tra il 2010 e il 2014, quando militava nel Real Madrid. È ancora in corso invece l’indagine che riguarda Gonzalez e Pastore, che nel frattempo è tornato a giocare in Italia, alla Roma, a otto anni di distanza dalla sua prima esperienza in serie A con la maglia del Palermo di Maurizio Zamparini.
Nei mesi scorsi, Football Leaks ha messo in moto anche la magistratura elvetica, costretta a indagare tra le proprie fila quando le mail pubblicate da Der Spiegel e da altri giornali del consorzio Eic hanno svelato le relazioni pericolose tra Rinaldo Arnold, procuratore capo del Canton Vallese, e il presidente della Fifa, Gianni Infantino, pure lui svizzero. Si è così scoperto che l’uomo al vertice della piramide del calcio mondiale aveva chiesto al suo amico d’infanzia Arnold di procurargli informazioni sull’attività del ministero pubblico della Confederazione. Quest’ultimo, la più alta autorità penale di Berna, negli anni scorsi ha aperto indagini su numerosi casi di presunta corruzione tra i dirigenti della Fifa, che ha sede a Zurigo. Infantino - come rivelano i documenti - in passato aveva regalato al suo amico magistrato diversi biglietti per partite di Champions League e della Coppa del Mondo in Russia.
Il capo della federazione mondiale ora dovrà difendersi davanti a un procuratore nominato ad hoc, Damian Graf. Infantino, peraltro, è stato tirato in ballo dalle carte di Football Leaks anche per il suo precedente incarico di segretario dell’Uefa, la federazione europea chiamata a vigilare, tra l’altro, sui bilanci dei club che partecipano alle competizioni continentali. Nel novembre scorso un’inchiesta dei giornali del consorzio Eic ha rivelato come alcune squadre, tra cui big come il Psg e il Manchester City, siano riuscite ad aggirare le norme del cosiddetto fair play finanziario grazie a contratti di sponsorizzazione gonfiati. Le irregolarità riguardano un periodo compreso tra il 2011 e il 2015, quando l’Uefa era governata dal presidente Michel Platini e da Infantino, suo fidato collaboratore. Nelle settimane scorse proprio la federazione europea ha annunciato un supplemento d’indagine sull’intera vicenda.
È invece giunto all’ultimo atto il caso più clamoroso tra quelli svelati da Football Leaks. Proprio pochi giorni fa, martedì 22 gennaio, Cristiano Ronaldo, l’attaccante più famoso del mondo, approdato l’estate scorsa alla Juventus ha chiuso la sua personale vertenza con il Fisco spagnolo accettando di pagare una multa monstre da 18,8 milioni per una frode fiscale da 13 milioni che risale agli anni tra il 2011 e il 2014, quando giocava in Spagna nel Real Madrid. La sanzione in denaro si aggiunge alla condanna a 23 mesi di carcere, che non verranno scontati grazie alla sospensione condizionale della pena.
Da tempo il fisco di Madrid indagava sul fuoriclasse portoghese, ma il salto di qualità dell’inchiesta è arrivato alla fine del 2016, quando i giornali del consorzio Eic hanno ricostruito, grazie ai documenti di Football Leaks, il tortuoso percorso dei soldi versati a Ronaldo dai suoi sponsor. Un fiume di denaro che partiva dalla Spagna per approdare ai Caraibi, nelle casse della Tollin, una società registrata alle British Virgin islands. Tra il 2009 e il 2014, come raccontò L’Espresso in un’inchiesta pubblicata nel dicembre 2016, presero il volo oltre 70 milioni di euro. Il campione allora in forze al Real Madrid pagò tasse per pochi milioni in tutto. Spiccioli in confronto a quanto avrebbe dovuto versare se avesse dichiarato per intero i suoi guadagni.
Da principio lo staff legale del calciatore ora alla Juventus aveva tentato di accreditare la tesi che il mancato pagamento era stato di fatto sanato nel 2014, quando i diritti d’immagine del campione erano stati ceduti fino al 2020 a una società, anche questa ai Caraibi, intestata all’uomo d’affari di Singapore, Peter Lim. Proprio nel 2014, Ronaldo dichiarò redditi per 22,7 milioni pagandone 5,6 in tasse. Un gesto che dimostra la sua buona volontà, dichiararono all’epoca con sprezzo del ridicolo i suoi consulenti fiscali.
Due anni dopo, però, Football Leaks fornì nuovi documenti agli investigatori e nel maggio del 2017 il Fisco spagnolo fu così in grado di accusare formalmente il calciatore di aver evaso il pagamento delle imposte in modo «cosciente e volontario». Messo con le spalle al muro, Ronaldo ha infine dovuto patteggiare la condanna a due anni di carcere con la condizionale e la multa di 18,8 milioni. Il caso è chiuso, ma giustizia non è fatta.
Almeno fino a quando Rui Pinto, l’informatore che ha reso possibile questo e altri processi, non sarà scagionato da ogni accusa.