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La tv del 2023 e il disastro dell'informazione

di Beatrice Dondi   29 dicembre 2023

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Il Tg1 trasformato in televendita, la diretta dei funerali di Berlusconi, le mani di Giambruno, Vannacci tuttologo per ogni occasione e le risse da talk. Breve e triste storia di un anno sul piccolo schermo

Per capire il senso di questa annata televisiva basterebbe pensare che all’ottavo posto delle serie più viste di Netflix al momento c’è un caminetto che arde. Un’ora e dieci di sola fiamma in puro legno di betulla. Praticamente un’ottima metafora di un palinsesto in fumo, che tranne rare, quanto consolidate eccezioni, segnano un anno da dimenticare. 

In casa Rai il 2023 si chiude con viale Mazzini che sconfessa le parole del direttore dell’intrattenimento Angelo Mellone, il suo direttore, non uno passato per caso. Che in un’intervista a Repubblica ha lanciato giudizi e linee guida che non corrispondono alle strade del futuro della restante dirigenza. E anche questa come metafora del servizio pubblico non è mica male.

 

Un anno in cui la Rai ha preso programmi e conduttori e li ha lanciati nel camino, a chi faceva ascolti è stata aperta la porta, chi funzionava con programmi rodati è stato spostato e chi invece non aveva nessuna freccia al suo arco si è portato a casa ore e ore di palinsesto fai da te. Nel senso che tanto quel che veniva detto se lo guardava quasi da solo.

 

Un flop dopo l’altro, dall’ostinato Pino Insegno con la sua simpatia da gioco aperitivo, a Nunzia De Girolamo, casuale conduttrice di un talk minestrone cominciato con il faccia faccia col marito, proseguito con la bizzarra ospitata di Fabrizio Corona e culminato nell’imbarazzante sfoggio di voyeurismo nell’intervista alla vittima dello stupro di Palermo. Ovviamente nella confusione generale più calavano gli ascolti e più piovevano premi, neanche fosse la lotteria di Capodanno. Progetti per il nuovo anno, rinnovi ma che dico Rai due, meglio Rai Uno, meglio una prima serata anzi no, diamogli tutto anche il telecomando d’oro.

 

Per fortuna c’è l’informazione, direbbe qualcuno. Che tra uno schizzo di sangue, un libro di Bruno Vespa e un tifo da stadio non solo ha trasmesso in diretta i funerali di Silvio Berlusconi che tanto ha dato al Paese tutto, ma non riesce a smettere di sperticarsi in lodi governative neanche fosse un cinegiornale. Accade al Tg1 per esempio, che apre la sua edizione serale di gennaio con l’intervista alla premier sulle accise e arriva a dicembre con i suoi auguri natalizi a tutti gli italiani. In mezzo lo spot su Atreju, una pubblicità coi fiocchi che non trascura neppure un dettaglio della festa di Fratelli d’Italia, financo le gioie della pista di pattinaggio. Insomma una sorta di pensiero ossessivo che trasforma il telegiornale in telepromozione, abbasso le droghe, no all’”utero in affitto”, e quanto è comodo questo materasso, tre pentole e pure i coperchi. Poi vabbè ci sono due guerre ma ci sarà tempo per parlarne. Ma guai a definirla Telemeloni, che l’ad Roberto Sergio si dispiace.

 

Sul fronte Mediaset invece si stava meglio quando si stava peggio. Il Grande rammarico, quasi più invasivo del Grande Fratello, è stata la cacciata anzitempo di Andrea Giambruno, che a causa di fuori onda di Striscia verrà ricordato solo per le sue mani generose nel cavallo dei pantaloni anziché per le perle diffuse del suo Diario del giorno. Ed è un vero peccato. Così resta la furia da talk show, quello sport inspiegabile in cui l’atleta deve cercare di confondere le poche idee a disposizione. 

 

Così mentre Minzolini chiude i battenti per manifesta incapacità, Berlinguer raddoppia, Brindisi ribrinda, Giordano usa le smorfie e Porro fa Porro, il dibattito si è affidato al generale Vannacci, l’uomo tutto d’un pezzo dai piedi nudi che a un certo punto, non si capisce bene per quale motivo, è diventato l’esperto di tuttologia, tirato per la camicia bianca a dettare la linea retta dell’informazione retequattrista, sempre più a suo agio nella conduzione scapestrata.

 

Si potrebbe dire un bell’ambientino, quello che è toccato al telespettatore, e la lista potrebbe continuare a lungo, mica come quelli bravi che cominciano dai programmi migliori e se la cavano in due parole. Perché di buono s’è visto poco e soprattutto si è assistito a una lenta quanto inesorabile disfatta generale, una sorta di abbandono creativo in cui tutto si è mischiato nel minestrone del talk, le urla, le lacrime, i pianti, i Pandori, le confessioni e i tradimenti. Insomma, cari telespettatori,  come scriveva il buon Kurt Vonnegut, “Quando siete felici fateci caso” . Perché capita di rado. E spesso tanto varrebbe guardare il camino.